Il vescovo: la città non si pieghi nel lamento

L’appello dalla Cattedrale: «Amate Trieste e non rifugiatevi nella rassegnazione»
Il vescovo di Trieste Eugenio Ravignani
Il vescovo di Trieste Eugenio Ravignani
Il vescovo richiama la sua città al lavoro, i cittadini a dismettere il carattere critico e lamentoso, e tutti a una convivenza «civile e serena», laici, cattolici e aderenti ad altre religioni. Nel giorno di San Giusto è sceso ieri dalla cattedrale un forte appello a Trieste e ai triestini: non piegatevi alla rassegnazione.  Abbiate un’economia «saggia» che tuteli l’occupazione. Salvate l’ambiente, «bellezza trasparente del creato». Come se il dibattito di questi ultimi tempi sul ruolo in divenire della città - ancora in bilico tra desideri incagliati e nodi irrisolti - fosse ineludibile ormai perfino dal pulpito, nella comunque tradizionale solennità dell’annuale rito liturgico dedicato al patrono.


Di fronte a una chiesa gremita e contornato dal clero triestino in porpora il vescovo Eugenio Ravignani ha lanciato un messaggio assai concreto a partire dal fatto che San Giusto è stato ricordato come «martire della fede» ma anche come «cives», cittadino, «inserito nella vita pubblica della città, che amava molto». In una Trieste che nelle caratteristiche strutturali il vescovo ha descritto uguale a quella del IV secolo dopo Cristo: stesso golfo, stessi commerci e traffici, approdo di genti diverse per cultura e religione, stessi ricchi, stessi poveri.


E dove Giusto divenne martire dell’intolleranza religiosa, come - ha ricordato Ravignani - martire fu Francesco Bonifacio, il sacerdote istriano che un mese e mezzo fa è stato dichiarato beato proprio nella medesima cattedrale: «I suoi tempi - ha scandito il vescovo - erano ben lontani da quelli della persecuzione in cui morì Giusto, ma non meno iniqui e sofferti».


Ma l’appello era tutto per l’oggi, con una sottolineatura non solo per chi ha responsabilità di governo ma per tutti i «cives»: «Amate questa nostra città. Non siate estranei alla sua vita e ai suoi problemi, alle sue difficoltà e alle sue attese. Non rifugiatevi nella critica o nel lamento, non piegatevi alla rassegnazione come se il domani altro non riservasse se non delusione amara, siate invece partecipi delle speranze che ad essa di aprono e contribuite a realizzarle, in spirito di collaborazione leale e convinta, con chiunque s’impegna perché crescano tra i cittadini rapporti di cordiale rispetto per una convivenza civile e serena, perché un’attenta e saggia economia tuteli l’occupazione dei lavoratori, ne rassicuri le famiglie in difficoltà e incoraggi le imprese a creare nuovi posti di lavoro affinché i giovani possano guardare con fiducia al loro domani e formarsi una famiglia».


Ma senza dimenticare chi non è sotto i riflettori, perché non è categoria: «A quanti sono nel disagio e nel bisogno - ha sottolineato Ravignani - , sia dato ciò che esige la loro dignità di persone umane». Infine il richiamo alla salvaguardia dell’ambiente. E, su un altro piano, un consiglio a laici e cattolici a collaborare assieme per «costruire l’oggi e il domani della nostra città». Ai consigli concentrati nell’omelia Ravignani ha aggiunto un tono di urgenza: «Dovere a cui nessuno vorrà né potrà sottrarsi». E una motivazione: «È perché anch’io come voi amo questa città e l’amerò sempre che vi ho parlato così».


La cattedrale, come accade nelle giornate speciali, era invasa da musica e incensi, presidiata da picchetti e gonfalone, all’inizio e alla fine della messa è stata attraversata dal lungo, lento corteo del clero, fra i saluti del sindaco, della presidente della Provincia, di autorità militari e non, in prima fila riservata. Ospite di riguardo il capo della chiesa serbo-ortodossa, particolarmente salutato da Ravignani.

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