Il vescovo di Gorizia: «Sugli immigrati la politica non alimenti paure e sospetti»
GORIZIA Di ritorno dal primo viaggio nelle missioni isontine in Africa Carlo Roberto Maria Redaelli, vescovo di Gorizia e vicepresidente della Caritas italiana, propone una riflessione sull’essere missionario oggi, sull’importanza del dialogo interreligioso, allargando il suo pensiero all’attualità dell’immigrazione e al ruolo della politica e ai cambiamenti in atto nella vita delle parrocchie dell’arcidiocesi.
Cosa significa essere missionario oggi? In questo quarto viaggio in Africa, primo da vescovo in Costa d’Avorio e Burkina Faso, ho constatato come la chiesa africana abbia conquistato la maturità per una condivisione di catechesi e di promozione umana.
Nelle comunità, dove da anni sono attivi i nostri missionari, è cresciuta una solida presenza di laici formati e di fedeli appassionati, coinvolti nelle scelte pastorali. Missionari essi stessi verso le nazioni africane confinanti in difficoltà.
Quali sono i rapporti con i musulmani nei Paesi che ha visitato? Nei miei incontri con i vescovi locali e i rappresentanti delle comunità ho riscontrato come il dialogo interreligioso sia fondamentale per il mantenimento della pace in una situazione sociale non certo facile.
Ho percepito un rapporto sereno con le altre confessioni in particolare con i musulmani. In molte famiglie convivono fedeli di diverse religioni e hanno imparato a pregare assieme. La preghiera in situazioni non facili ha impedito il precipitare della situazione.
L’Africa ha risorse importanti di materie prime e umane che vanno valorizzate affinché le genti possano vivere in dignità, liberi dalle guerre e dalla sudditanza della povertà. Il nostro compito è aiutarli a saperle sfruttare.
Dalle coste africane anche quest’anno sono arrivati in Italia, e in minima parte a Gorizia dalla rotta balcanica, migliaia di migranti. Che politica serve? Serve una politica giusta per gestire i flussi migratori che non interessano solo noi, Gorizia e l’Italia, ma il mondo. Servono tempi lunghi di investimento nei paesi d’origine per creare le condizioni che non rendano necessario migrare.
Dobbiamo però ascoltare le richieste di questi paesi, è necessario mettersi d’accordo con le realtà locali senza imporre nostri modelli. In questo la chiesa con la sua capillarità di presenza è avvantaggiata rispetto alle politiche nazionali. Servono però accordi fra i governi, altrimenti tutto è velleitario.
A livello goriziano la politica che cosa può fare? La paura del diverso, sentimento normale, si supera sapendola gestire. I politici tutti non devono dare messaggi che facciano crescere il sospetto e il timore. Il tema migrazione è complesso, va gestito in modo intelligente, oltre gli stereotipi del tipo: “cacciamo tutti o accogliamo tutti”.
Serve un progetto europeo. Noi come chiesa dobbiamo intervenire a prescindere da tutto, per garantire i bisogni primari, dopo si procede alle diverse valutazioni. Certo in una piccola realtà anche la presenza di un centinaio di stranieri si fa notare, cosa che non accade in una grande città.
Quali i futuri cambiamenti nella gestione delle parrocchie isontine? Vorremmo fare delle scelte sistematiche ma progressive di rinnovamento nell’aggregazione delle parrocchie, valutando di volta in volta. Nessuno verrà abbandonato, ma saranno valorizzate le collaborazioni già esistenti anche nella comunità. In questo spirito di unione la notte di Natale celebrerò la messa in Duomo e il giorno dopo nella chiesa di Sant’Ignazio.
Il suo augurio per il prossimo santo Natale? Non dimenticare il festeggiato Gesù, confrontarsi con la sua figura in spirito di ricerca. Come fu per i Magi in viaggio verso la luce.
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