Il vescovo di Gorizia: «Il confronto sia la nostra guida»
Le omelie di Natale in Duomo e a Sant’Ignazio: «Dobbiamo avere una speranza grande. E rispondere ai nostri perché»
«Che cosa speriamo in questo momento: immagino di passare una bella festa di Natale in famiglia, magari il superamento di qualche tensione e divisione familiare, forse la salute per qualche persona cara che è in ospedale, ancora la possibilità di un avanzamento sul lavoro, la nascita di un nipote e così via. Sono tante le speranze, piccole e grandi, che ognuno di noi ha nel cuore e che ci tengono vivi. Ma sono sufficienti? O siamo fatti per molto di più? Non è forse che abbiamo bisogno di una salvezza che dia un senso a tutta la nostra esistenza, che dia una risposta a quel desiderio profondo che abbiamo nel cuore di una vita, di una gioia, di un amore che siano per sempre?».
Parole dell’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli nell’omelia proposta in Duomo alla messa del giorno di Natale. Un intervento che ha spaziato dalla teologia alla catechesi per ribadire, anche, l’importanza del dialogo che deve essere la nostra guida. «Il Natale - ha ribadito - ci invita ad avere una speranza grande, una speranza eccedente perché ci viene donato il Salvatore, Dio stesso che si fa uomo e che dice che la nostra vita ha un senso, che non veniamo dal niente e non siamo destinati al niente, ma veniamo da un Amore che ci ha creati, che ci salva, che ci perdona, che ci ha fatto suoi figli, che ci vuole per sempre felici con Lui. Realmente per tutta l’umanità c’è una luce, c’è una speranza, c’è una gioia».
Il 25 dicembre, giorno di Natale, l’arcivescovo ha presieduto la messa in Sant’Ignazio come da tradizione molto partecipata. Ed è stata ugualmente intensa e intrisa di messaggi spirituali, come quella della notte prima. Redaelli ha parlato, nell’omelia, dei bambini. «Chi ha a che fare con loro – che siano figli, nipoti o pronipoti non importa… – sa che passano tutti dall’età dei “perché”, verso i 3-4 anni a seconda del bambino. Un momento simpatico per i genitori e i nonni, ma anche qualche volta faticoso, soprattutto con le bambine e i bambini di oggi molto più svegli, mi sembra, di quelli di una volta. In ogni caso i bambini non smettono un secondo di chiedere “perché” e non si accontentano».
«Poi - ha ricordato l’arcivescovo - l’età dei “perché” passa: pare che i ragazzi siano ormai soddisfatti o più probabilmente (penso agli adolescenti) si tengono dentro i loro “perché”, anche per il motivo semplice e doloroso di trovare difficilmente un adulto che li ascolti. Comunque, quando si diventa adulti, sembra che non sia più possibile farsi domande che comincino con un “perché” e abbiano una risposta precisa. Si ha infatti la percezione che il mondo è molto complicato – e in effetti lo è – e che sia difficile anche formulare le domande giuste. Si ha l’impressione che ci sia solo la possibilità di fare analisi».
Redaelli è arrivato così al cuore del suo messaggio. «Il Natale - ha detto - ci rivela tutto questo. Non è solo una bella festa da vivere in famiglia, un momento di sosta nella nostra vita frenetica, uno scambio di auguri e di doni. Il Natale va al principio. Non ci imbroglia, non lascia senza risposta i nostri “perché” più impegnativi. Ma anche ci interpella nella nostra libertà e responsabilità: il Verbo di Dio può essere rifiutato oppure accolto. Sta a noi deciderlo»
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