Il vaccino di Putin divide i Balcani. Vučić si offre come volontario
BELGRADO C’è chi lo brama come una miracolosa ancora di salvezza e non sembra avere dubbi sulla sua sicurezza, perché “garantito” dal suo leader, alla testa di un Paese storicamente amico e alleato. E chi invece non ne vuole neppure sentir parlare, malgrado la situazione epidemiologica sia sempre più instabile, non fidandosi per nulla di ciò che arriva da Mosca.
Mosca che si sta dimostrando capace di dividere i Balcani e l’Europa centro-orientale in generale, tra filorussi e Stati fieramente opposti al Cremlino, anche sul tema vaccino. “Vaccino di Putin”, annunciato in gran pompa da Mosca ad agosto e presentato come arma definitiva contro il coronavirus che in molti, nel cuore dei Balcani, attendono con ansia.
Lo hanno confermato fonti più che autorevoli, da ultimo il membro serbo della presidenza tripartita bosniaca, il nazionalista – e tenacemente filorusso – Milorad Dodik. Dodik che, prima che arrivi l’autunno, andrà personalmente a Mosca alla corte dello zar Putin per «finire il lavoro» e stringere accordi definitivi per l’importazione del vaccino russo, se non in tutta la Bosnia almeno nella “sua” Republika Srpska, ha annunciato lo stesso Dodik mercoledì.
Vaccino di Mosca, sviluppato dallo storico Istituto Gamaleya, che sarebbe sicuro, perché la Russia è ormai pronta a utilizzarlo sulla sua popolazione, ha specificato Dodik, aggiungendo che non si tratterebbe di un vaccino «di tipo commerciale», ma finalizzato all’immunizzazione della popolazione russa – e dei Paesi amici – a differenza di quelli sviluppati per «fini commerciali da molte aziende occidentali. Parole che rafforzano le posizioni del premier serbo-bosniaco Radovan Visković, che già a metà agosto aveva rivelato che la Republika Srpska avrebbe «offerto un anticipo» per prenotare dosi di vaccino russo. Banja Luka non è sola.
Uno dei più probabili candidati all’adozione dello “Sputnik V”, il nome in codice del farmaco “made in Russia”, dovrebbe essere la vicina Serbia, Paese che guarda all’Ue, ma mai rinnega i legami con Pechino e con Mosca. Serbia dove lo stesso presidente Vučić si è offerto come primo volontario per sottoporsi al controverso vaccino. «Sarò il primo a candidarmi alla vaccinazione» contro il coronavirus se anche gli esperti serbi «diranno che va bene», ha assicurato Vučić. E se andasse bene sarebbe «la salvezza per la nostra economia».
Ma Serbia e Republika Srpska sembrano essere isolate, a Est. Il fronte degli indecisi o degli apertamente contrari a Mosca, anche sul vaccino, sembra essere infatti assai più folto. «Non c’è alcuna validazione internazionale del vaccino anti-Covid annunciato dalla Russia» e, in ogni caso, Bucarest è impegnata con le altri capitali Ue a sostenere gli sforzi europei, ha chiuso le porte il presidente romeno, Klaus Iohannis. La Slovacchia non è interessata al farmaco di Mosca, perché fallace «per diversi criteri», in testa quello dei test approfonditi su efficacia e sicurezza prima della distribuzione, ha assicurato anche Pavol Jarcuska, presidente dell’Associazione slovacca degli infettivologi.
Nessun interesse, per ora, è stato segnalato neppure in Paesi come Polonia, Ungheria, Bulgaria o in Croazia. Non solo. Anche nei ranghi dei Paesi filorussi ci sono molti critici. «Come si può dire che un vaccino è efficace quando è stato testato su 38 persone?», ha attaccato l’autorevole immunologo serbo Borislav Kamenov, una posizione condivisa da molti, almeno sui social. —
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