Il “tuffo poetico” degli scrittori triestini
TRIESTE. Chi il mare lo ha interiorizzato fin da bambino fatica a vivere senza. Va a cercarlo, come un compagno dei giochi delle emozioni e dell’anima, un amico che consola, un testimone, una distesa che ruggisce con lui, insieme al vento, assecondando un umore nero come il cielo, o che calma, con un imperturbabile blu in cui si scioglie il calore del sole. Fatica a credere, se capita in una città dove non c’è, che un suggerimento o un trionfo di azzurro non sbuchi dietro qualche angolo, prima o poi.
Trieste e il suo mare, Trieste è il suo mare, anche se non soltanto. Un mare che non è sempre lo stesso e non uno solo, declinato in vari luoghi e col significato che ognuno vi attribuisce, all’essere e vivere stabilimenti in cui trovare condivisione o comunque una propria isola, o cantucci più solitari e selvaggi.
«Ogni triestino sa riconoscere il suo “bagno” a istinto», scrive giustamente Federica Manzon nell’introduzione del volume “I mari di Trieste” (Bompiani Overlook), di cui è la curatrice e che, con le fotografie di Diego Artioli, raccoglie i testi di Mauro Covacich, Gillo Dorfles, Claudio Grisancich, Veit Heinichen, Claudio Magris, Alessandro Mezzena Lona, Boris Pahor, Pino Roveredo, Pietro Spirito e Mary Barbara Tolusso. “I mari di Trieste” sarà presentato stasera alle 19, al Salone degli Incanti, all’interno della mostra “Il gusto di una città - Trieste capitale del caffè”. Un evento organizzato nell’ambito di "Barcolana delle Idee", presenti Mezzena Lona, Spirito, Tolusso e Roveredo.
Il mare di cui si parla è soprattutto quello in cui ti immergi e che rimane sulla pelle, con cristalli di sale, e sottopelle, ricordi e suggestioni. Il mare e gli scrittori. Neanche loro, ovviamente, sono uguali, per generazione, biografia esistenziale e letteraria, e piace l’idea di uno stesso argomento, così vasto e così intimo, coniugato a più voci. Per Covacich il mare è quello di Barcola, la Pineta, anni ’70, un omaggio alle domeniche, «un momento di grande sintonia famigliare» di cui già l’attesa era «promessa di felicità», con la sensazione delle «giornate sterminate» dellìinfanzia e l’evento della nuotata con papà. Gillo Dorfles, che i primi tentativi di nuoto li fece a Genova, rifugio dalla guerra, racconta della Diga «luogo d’elezione per i bagni invernali, giusto il tempo di abituarsi al gelo dell’acqua e subito si usciva a riscaldarsi al sole». Racconta del Savoia, con Leonor Fini, Bobi Bazlen e Leo Castelli. E di una paura, anche se mai appartenuta alla realtà, della «minaccia del naufragio», riconoscendo al mare «volubilità, inafferrabilità e mistero». Per Grisancich è una poesia famigliare, anni ’40, l’amore quotidiano tra una madre e il suo bambino, la meraviglia di quest’ultimo nel vedere la città dal motoscafo, «la guerra che mostra la sua faccia vera: giostra di tragedia» nell’attesa di un ritorno alla pace. Heinichen riporta uno sprazzo di vivace «triestinità», la spontanea e leggera noncuranza in cui il concetto di privacy svanisce e si dilata nella moltitudine, e c’è chi parla di sé, della vita degli altri, come se fosse da solo.
Per Magris l’apertura del Golfo è anche apertura culturale, simbolo dell’unità della vita e un amore intenso, che si ha anche il pudore di raccontare. Mezzena Lona sceglie la via del racconto: Aurora è una scrittrice, tormentata mentre si spalma la crema da sedicenti letterati alla ricerca affannosa di un «posto al sole». Per Pahor il mare è stato «la grande libertà, i momenti felici» in anni di angoscia tra le vie delle città e Roveredo veste ricordi in dialetto in lingua italiana, e parla di un «mare azzurro come il pesce, nero come la rabbia e sporco come la cattiva coscienza di chi lo offende». Nel racconto di Spirito è il Bagno Militare a intrecciarsi alla giovanile scoperta della «trappola del desiderio» e delle prime, anche infuriate, schermaglie amorose, mentre Tolusso, non mollando la presa dell’ironia anche nelle sfumature più amare, scrive della Costa dei Barbari e di un uomo in cerca di un equilibrio tra contrasti che si rifugia come può in una sua Trieste.
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