Il terrorismo fa paura anche all’Islam moderato
TRIESTE. «È stato come se mi avessero trafitto il cuore con la lama di un coltello». Saleh Igbaria utilizza una metafora per raccontare il dolore che ha provato nel vedere le immagini di Sousse, in Tunisia, teatro della strage che è costata la vita a 39 turisti ospiti di due resort di lusso, affacciati sul golfo di Hammamet. Presidente del Centro culturale islamico di Trieste, in Italia da oltre 25 anni, Igbaria non si è limitato a una prevedibile presa di distanza da quelli che definisce dei «cattivi musulmani», ma ha espresso una condanna inequivocabile, «senza se e senza ma». «Chi usa la violenza contro un’altra persona – ha spiegato in maniera accorata – non può nemmeno essere considerato un musulmano». Un distinguo, quello espresso da Igbaria, che ha trovato riscontro, pur con sfumature diverse, negli altri rappresentanti delle comunità musulmane presenti in regione.
Fra loro non c’è alcuna volontà di minimizzare ciò che sta accadendo, anzi. Gli atti terroristici compiuti nel nome di Allah fanno ancora più paura a chi professa una fede che, sempre più spesso, viene brandita come un’arma. «Le prime vittime di queste stragi – sottolinea Igbaria – sono spesso musulmane, anche se non amo distinguere le persone morte in base alla loro fede professata». In effetti molte scuole di pensiero fondamentaliste ritengono che gli “infedeli” vadano ricercati in primis fra gli stessi musulmani. Un approccio, questo, che continua ad alimentare le violenze fra sunniti e sciiti, le due diverse anime dell’Islam. Eppure le stragi rivendicate dallo Stato islamico sembrano puntare al cuore dell’Europa e sono in molti a temere che alcuni miliziani dell’Is si possano confondere fra le migliaia di migranti in fuga dalla guerra. «Le persone che arrivano in Europa sono disperate – spiega Abdel Razak, presidente della Comunità musulmana di Udine - , scappano perchè afflitte dagli stessi regimi che vorrebbero arruolarli fra le fila dei terroristi». Razak riporta alla memoria la carneficina compiuta nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo: «A seguito di quei fatti – spiega – abbiamo manifestato pubblicamente con le istituzioni, per ribadire la nostra contrarietà alla violenza. Siamo molto preoccupati per i nostri figli e per una violenza che è frutto di un’interpretazione sbagliata dell’Islam».
Il numero uno della comunità islamica friulana prova a fare un passo più in là, cercando le motivazioni che si muovono alla base della crescita del fondamentalismo religioso. «Ci sono delle tensioni nel mondo arabo alimentate da dei regimi dittatoriali – le sue parole – . Anche l’Occidente ha le sue colpe, in questo senso. Gli stessi Stati Uniti hanno armato certi regimi, per poi accorgersi di avere perso il controllo della situazione». Tesi condivisa da Ali Poesal, quella che vuole il fondamentalismo islamico inserito in un quadro geopolitico più ampio: «Chi finanzia questi gruppi terroristici e per quali interessi?», si chiede il delegato dell’Associazione culturale islamica di Monfalcone “Baitus Salat”. «L’Is stesso – continua il giovane studente di Economia e commercio – ha usufruito dell’aiuto dei servizi segreti deviati di alcuni Paesi occidentali». Sul fatto che un intervento armato non risolva la questione tutti i musulmani interpellati concordano, prediligendo un approccio culturale al problema. «Dobbiamo stringerci attorno all’Islam moderato – così Poesal – , evitando di alimentare uno scontro fra civiltà che farebbe solo un favore agli estremisti. Dobbiamo lavorare tutti insieme per la pace, cercando una maggiore integrazione ed evitando l’equazione musulmano uguale terrorista».
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