Il terremoto, 40 anni fa. Mattarella: "Siete un esempio"

Il presidente in Friuli ricorda i mille morti, i 2500 feriti e la distruzione del 6 maggio 1976. "Ma questo popolo ha saputo risollevarsi e ora è il crocevia dell'Europa". Emozione e tante bandiere a Gemona e Venzone
Mattarella a Gemona
Mattarella a Gemona

UDINE L’orgoglio di chi c’era e non ha mai voluto abbandonare la speranza di ricominciare. La dignità e la forza morale – velata da quello sguardo tra il triste e il malinconico che non potrà mai scomparire davvero – di chi quel maledetto 6 maggio di quarant'anni fa ha visto morire un parente o un amico. La fierezza di un popolo che ha tenacemente voluto ricostruire fabbriche, case e chiese «dov’erano e com’erano», ma anche quella dei soccorritori – e a Gemona e Venzone ce n’erano a centinaia – accorsi da tutta Italia nelle settimane successive al sisma per aiutare questa terra a rialzarsi.

Il Friuli ha accolto il presidente della Repubblica a braccia aperte, tra applausi, strette di mano e un amore per quello che il Quirinale rappresenta – lo Stato, nella sua essenza più profonda e democratica – così grande che, forse, Sergio Mattarella non si sarebbe mai aspettato. E il presidente ha capito, profondamente, quanto contasse la sua presenza, qui, in un giorno speciale per l’intera regione. Lo ha osservato nelle bandiere tricolori che sventolavano dalle finestre di Gemona e Venzone, nelle fanfare schierate e nelle voci emozionate di amministratori e semplici volontari, di una volta e di oggi. Ricambiando questa ondata di affetto con l’unica moneta che, a queste latitudini, si apprezza davvero: il riconoscimento del lavoro svolto.

Quel «Mandi Friûl, mandi furlans», con cui ha aperto il suo intervento a Venzone ha sciolto il ghiaccio nel catino dei discorsi ufficiali. Ma molto di più, prima, aveva fatto spostando in avanti le transenne di sicurezza perché lui vuole essere il presidente di tutti gli italiani e la gente ha il diritto di vederlo, stringergli la mano. Il Quirinale non può e non deve essere un Palazzo lontano, ma un’istituzione viva che si muove tra il popolo e ne rappresenta l’essenza, al di là del colore politico. Qualcuno, recentemente, ha scritto che il “Miracolo Friuli” non si è ripetuto altrove perché mancava la tradizione asburgica dei Comuni di casa nostra. E qualcosa di simile è sembrato di sentire dalla voce di Mattarella quando ha voluto sottolineare la «determinazione» nell’affrontare il dopo sisma, e come tutta Italia abbia capito «che quello che avete fatto qui è stato frutto della cultura e della volontà di un popolo intero». Un popolo che merita «apprezzamento, ammirazione e la riconoscenza di tutto il Paese per quello che è riuscito a fare».

Ma c’è qualcosa di più del semplice «grazie» per il presidente della Repubblica. Quello che sarebbe poi diventato il “Modello Friuli” è stato infatti figlio di gente che ha insegnato all’intero Paese due concetti precisi: «rialzarsi e ripartire». Un esempio che «le popolazioni friulane ci hanno dato più volte, come dopo la Prima guerra mondiale combattuta in queste terre. Questa capacità conferma che le prove della vita esaltano i valori positivi delle persone e delle comunità e le proiettano verso traguardi più ambiziosi».

Lezioni all’Italia con le chiavi di volta rappresentate «dal senso di appartenenza al territorio, consapevolezza della propria storia e cultura, partecipazione dal basso, profondo orgoglio della propria Autonomia» mescolate alla «capacità di ascolto, di guida e di solidarietà da parte dello Stato». Regione e Paese che furono un tutt’uno, tanto da spingere il Capo dello Stato a esclamare, dall’auditorium del Consiglio «vi siete rialzati, ci siamo rialzati» con l’Italia che si può dire debitrice del Friuli pure per una «capacità friulana di fare sistema nei suoi organi rappresentativi, nei suoi apparati pubblici e nel coinvolgimento delle forze sociali» tale da delineare un modello «che ha ispirato ogni successivo sviluppo in materia di Protezione civile». Dalla volontà di una terra «che ha rotto anche tanti paradigmi dell’accademia con la sua determinazione del “dove era, come era”» è nata la capacità di «restituire al popolo friulano le chiavi del proprio destino».

Senza dimenticare il ruolo di Antonio Comelli, Salvatore Varisco e Adriano Biasutti fino a quello di Giuseppe Zamberletti le cui parole – ha chiosato Mattarella – echeggiano ancora: «un popolo non muore con il crollo delle case e il Friuli è vivo perché sono vivi i valori che ne costituiscono l’anima. Viva il Friuli, viva la Repubblica».

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