Il tecnico del suono in marcia nel grande silenzio islandese

Marco, triestino di 24 anni, ha compiuto una traversata solitaria di cinquecento chilometri. «Non ho ascoltato nemmeno una nota musicale. Non volevo distrazioni»
Il 24enne triestino Marco Parlante
Il 24enne triestino Marco Parlante

TRIESTE «Non sono un mostro del trekking, né un Indiana Jones moderno. Sono un ragazzo qualsiasi che adora i viaggi poco convenzionali e le sfide». Ventiquattro anni, una laurea in musica elettronica in tasca, un lavoro da tecnico del suono. Ma Marco Parlante, come sa molto bene chi lo conosce, non è solo computer e mixer: da quando ha 18 anni il giovane triestino adora muoversi nel modo più naturale possibile, ovvero camminando.

Marco ha deciso un mese fa di affrontare la sua prima vera sfida estrema attraversando l’Islanda, da costa a costa, in completa solitudine. Parlante è uno che osa ma è tutt’altro che uno sprovveduto: «Mi sono preparato per molti mesi cercando informazioni sui percorsi e sul clima. Ho fatto corsa in salita e rinforzo delle spalle per portare uno zaino di 24 chilogrammi per 500 chilometri. Mi sono procurato una buona attrezzatura con tenda resistente e vestiti a prova di acquazzone». Poi, certo, c’è la questione del cibo: Parlante si è nutrito per i 18 giorni di cammino mangiando cibo in busta.

 

Islanda coast to coast, da solo e a piedi: l'impresa

 

L’inizio del viaggio è stato subito di grande impatto. «Il meteo era imprevedibile: passavi dal sole alla grandine in cinque minuti. In generale, in Islanda, piove molto. E c’è tanto vento. Da buon triestino pensavo di esserne preparato, ma è diverso. La Bora va a raffiche, mentre questo è continuo e dovevo camminare inclinato di 45 gradi. Se per qualche istante si calmava, cadevo per terra». Un capitolo a parte lo merita il paesaggio: «Ho camminato in mezzo al deserto nero completamente da solo, affrontando spazi enormi incontaminati. Per dissetarmi ho bevuto l’acqua dai fiumi glaciali. In Islanda la terra nasce da rocce vulcaniche ed è modellata dalla lava e dal vento. Le colate dei ghiacciai creano posti surreali».

I contatti sono stati ridotti al minimo: «Ho utilizzato il cellulare solo per avvisare che ero ancora vivo. Non ho ascoltato nemmeno musica. Ho voluto vivere l’esperienza senza distrazioni: se sappiamo stare bene da soli poi stiamo bene anche con gli altri». A metà del viaggio Marco è sceso dagli altipiani giungendo alle cascate di Gullfoss e ai Geysir raggiungibili su strada asfaltata: almeno per un giorno un ritorno alla civiltà. «Poi mi sono avventurato verso Est, di nuovo lontano da ogni presenza di vita umana. Per quasi tre giorni non ho incontrato nessuno». Durante l’inverno l’interno islandese è tutto ghiacciato, ma d’estate si scioglie diventando una zona ricca di fiumi glaciali da guadare. «Affrontati i corsi d’acqua sono entrato nella parte più vulcanica dell’isola a Sud. Ho dormito sotto l’Hekla, il vulcano attivo più famoso dell’isola, che può eruttare da un momento all’altro». Lo stanno aspettando, l’Hekla. E sanno che, più tempo passa, più sarà violento. «Il guardiano di un bivacco mi ha detto che in caso di eruzione lo si saprebbe con 20 minuti di anticipo, attraverso un sms “Allontanati dall’Hekla”».

 

Un'immagine suggestiva del paesaggio islandese
Un'immagine suggestiva del paesaggio islandese

 

Per intraprendere il Laugavegur Trail, trekking considerato come il più bello del mondo, il viaggiatore triestino ha attraversato campi di lava e valli multicolore. «In alcuni punti c’era l’erba verde fluo: mi ero comprato un giubbotto color evidenziatore per farmi notare in caso di emergenza e invece qui mi mimetizzavo» ridacchia, adesso, Marco. Nell’ultimo giorno di cammino, attraverso il sentiero che passa tra i vulcani Ejafjallajokull e Ketla, il viaggio di piacere si è trasformato in incubo. «Dopo tre ore di salita con solo pioggia mi sono ritrovato tra i ghiacci in mezzo ad una bufera. Con l’arrivo di una fittissima foschia non riuscivo più a trovare i paletti che segnavano la via e con il vento così forte l’acqua era entrata ovunque mettendo fuori uso il telefono per chiamare i soccorsi». Parlante era fradicio, a rischio ipotermia, completamente smarrito tra i ghiacci. «Ho cominciato a camminare nella bufera urlando e dopo mezz’ora, per fortuna, ho trovato un gruppo di persone munite di un Gps che ci fatto arrivare ad un bivacco di emergenza».

Marco, adesso, ammette che gli è andata bene. Molto bene: «Se quelle persone non mi avessero sentito forse ora non potrei raccontare questa storia». Dopo una giornata tanto dura, ecco la discesa e l’atteso arrivo al mare che ha sancito la fine dei diciotto giorni di cammino. Marco, alla fine, tira le somme: «L’Islanda è piantare la tenda davanti al ghiacciaio, guardare il sole che alle dieci di sera comincia a tramontare lentamente dipingendo le nuvole e i fiumi di mille colori, guardare quell’enorme ammasso di ghiaccio che ti trasmette un senso di serenità e immergersi in questi spazi enormi che ti fanno sentire così piccolo davanti alla natura. Questa è stata la mia Islanda».

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