«Il suicida aveva 9 fratelli In Afghanistan: cerchiamo di contattarli»

Schiavone (Ics): Naseri veniva da un villaggio sperduto, complesso rintracciare la famiglia ma un suo cugino è a Trieste. Difficile il rimpatrio della salma
Lasorte Trieste 14/03/14 - Piazza Vecchia, Conf. Stampa SEL, Suicidio Afghano, Fiori
Lasorte Trieste 14/03/14 - Piazza Vecchia, Conf. Stampa SEL, Suicidio Afghano, Fiori

E adesso, pover’uomo? Si spegneranno presto i fari sul corpo senza vita del ventunenne afghano che si è tolto la vita nel corso di una sparatoria in strada dietro la Questura osando cavare di tasca la pistola a un poliziotto. Che cosa sarà del suo corpo non è ancora chiaro ma le istituzioni sono in movimento. Innanzitutto per rintracciare la famiglia che da un piccolo paese rurale dell’Afghanistan l’ha visto partire per questo viaggio impervio e lungo, che è finito a Trieste, luogo di arrivo anche se non destinazione finale, perché per lui qui non c’era più posto nelle strutture che ospitano i rifugiati politici e i richiedenti asilo nell’ambito del programma nazionale Sprar.

Naseri Muhammad Gul aveva in Italia un cugino, che adesso è a Trieste, «ed è attraverso lui che cerchiamo di stabilire un contatto con la famiglia» afferma Gianfranco Schiavone, il presidente del Consorzio italiano di solidarietà che accoglie e gestisce i rifugiati e i richiedenti asilo stanziali o (come Gul) in transito. Attualmente quasi 260 persone in attesa, il primo in lista per essere “smistato altrove” è arrivato a Trieste in agosto. Gul era qui da ottobre 2013.

«Il giovane era il primo di 10 figli - racconta Schiavone -, nella campagna afghana sono rimasti il padre, la madre e i tanti fratelli. Il cugino è il parente più prossimo su cui possiamo contare, anche lui parla solo la lingua “pashtu”. Né eravamo ancora in grado di conoscere i motivi per cui Gul era partito». Secondo altre fonti il giovane sarebbe invece andato via per un pesante contrasto in famiglia, il padre lo avrebbe voluto militare. Lui, come s’è drammaticamente visto l’altro giorno, non sapeva nemmeno maneggiare una pistola.

«Faremo il possibile per rimpatriare la salma - prosegue Schiavone -, ma non è come avere rapporti con Senegal, Egitto, o altri paesi, in Afghanistan per così dire non funziona niente, la distanza è enorme, i collegamenti pessimi, rintracciare e fare documenti complicatissimo, un coacervo di problemi abbiamo davanti». Non ci sono voli diretti per Kabul, e il paese del ragazzo da Kabul è oltretutto molto distante. È stato preso contatto con il consolato, anche il ministero degli Interni che gestisce e finanzia il sistema Sprar verrà infine interpellato.

«Altrimenti - aggiunge Laura Famulari, assessore comunale alle Politiche sociali - vorrà dire che il giovane verrà sepolto a Trieste. In fondo, noi un cimitero musulmano lo abbiamo. Non succede dappertutto. Le spese del funerale? Forse a carico del Comune, o del ministero. Niente di certo per adesso».

Il ragazzo afghano non si era comunque diretto verso l’Italia per incontrare il cugino già espatriato, che secondo Schiavone è arrivato in questi giorni, e secondo la Questura era già a Trieste, perfino presente alla sparatoria. Una parentela troppo lontana per configurare un ricongiungimento. E intanto nel piccolo villaggio dove non si parla, come in altre zone, un inglese fluente, forse appena in queste ore sta arrivando, fra molti ostacoli, la triste notizia che uno dei 10 fratelli di quella evidentemente giovane ma grande famiglia, il più grande, quello che aveva cercato fortuna, non farà né fortuna né ritorno.

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