Il sogno federale delle aristocrazie anticipò l’Europa

Era una possibile risposta al problema nazionale ma con lo scoppio della guerra fu accantonato

La Storia non si ripete, si sa. Certe dinamiche però operano sempre allo stesso modo. Nello scoppio della Grande guerra qualcuno ha voluto vedere il piano di qualche grande vecchio, che di solito non esiste. Studi recenti rivelano invece come ai tempi migliaia di analisi e scambi di messaggi diplomatici avessero individuato i pericoli insiti nella situazione europea. La sconsideratezza di chi teneva le leve del comando innanzi alle avvisaglie del crollo ebbe una parte decisiva nell'esplodere del conflitto.

I SONNAMBULI

Agli inizi del secolo una certa leggerezza di vivere aveva invaso l'Europa, frutto del benessere seguito all'industrializzazione. Immerso nel suo sogno, il Vecchio mondo trascurava segnali preoccupanti: il nazionalismo, un tempo appannaggio delle élite, si era diffuso fra il popolo. L'aveva adottato anche qualche assassino. Ma pochi vi davano peso, in un'atmosfera di cecità diffusa che è ben descritta dal libro “I sonnambuli” di Christopher Clarck.

SFIDE NEI BALCANI

Il ministro degli Esteri austriaco del tempo, il conte Leopold Berchtold, amava atteggiarsi a donnaiolo, e per dimostrare la propria audacia punzecchiava la Serbia. A Belgrado trovava persone che giocavano allo stesso gioco, come il politico serbo di lungo corso Nikola Pašic. Le prime due guerre balcaniche, preambolo della Grande guerra, sono nate in questo contesto di reciproche provocazioni. Infine, il 28 di giugno 1914, un monarca sprovveduto mandò il suo successore al trono a Sarajevo. Era il giorno dell'anniversario della battaglia di Kosovopolje, e a Vienna sapevano bene che la Mano Nera era pronta all'azione. Vien da chiedersi dove fossero i servizi segreti austroungarici.

NAZIONALISMO E PANSLAVISMO

In quegli anni i serbi si atteggiavano a hochstaedter, noi diremmo gagà, e cercavano con disinvoltura di costruire la Grande Serbia, confortati dalla convinzione che la Russia sarebbe intervenuta a loro favore in ogni frangente. Tutti gli schieramenti erano legati da un intreccio di patti di mutuo soccorso, però le ragioni della sicumera serba travalicano le carte dei diplomatici.

È simbolico l'aneddoto del commesso commerciale che nel 1914, esploso il conflitto, scrisse al proprio re e a quello del Montenegro: «Sono in Germania a vendere la mercanzia. Torno in patria o attacco da solo?».

Nel 1914 era normale per un serbo dire «Noi russi siamo 200 milioni», come se la realtà geopolitica delle simpatie panslaviste fosse un automatismo superiore a tutti gli altri fattori dei rapporti internazionali. Dalla parte opposta, in Europa occidentale, si guardava al fenomeno con miopia speculare: temevamo allora la marea slava, come abbiamo temuto poi quella cinese e di recente quella musulmana, per cui qualche firma di punta del giornalismo italiano è riuscita a interpretare perfino l'ultima guerra in Bosnia come un attacco dell'Islam alla civiltà occidentale.

Otto d'Asburgo
Otto d'Asburgo

IL MILITARISMO

Un'altra caratteristica della società del tempo è il peso dei militari. I soldati sono sempre in prima fila quando si industrializza una nazione: torna comoda in quei processi gente che sa marciare, sa lavorare come un corpo unico, e l'esercito funge da modello. Da Washington a De Gaulle, poi, il militare o il civile con esperienza militare sono sempre candidati ideali a unire in una sola figura il capo dello Stato e il leader carismatico. Stalin si fece nominare generalissimo, ben avendo Trotsky ben più qualifiche di lui a un simile titolo (non a caso lo fece fuori). Il prestigio militare prima e dopo la Grande Guerra era tenuto in gran conto: poeti come D'Annunzio vollero diventare generali, anche se non risulta di generali che siano diventati poeti. Le retoriche militariste, i nazionalismi minarono le basi del Mondo di ieri. Nei paesi sviluppati nessuno se ne accorse, o fece finta di non vedere, fino alle prime cannonate.

LA PACE INFELICE

Mentre l'Europa della Belle Epoque si divertiva, il presidente americano Woodrow Wilson inviava esperti universitari a spasso per le campagne del Vecchio continente, a chiedere ai contadini che lingua parlassero. Quel lavoro diede i suoi frutti alla fine della guerra, quando Wilson impose i 14 punti che divennero la base per la Conferenza di Parigi. L'idea di Wilson di plasmare il continente secondo il principio di autodeterminazione dimostrò quanto poco conoscesse la realtà europea. La Conferenza avrebbe dovuto aprire un'epoca di pace e democrazia, ma partì male dando voce in capitolo soltanto a quattro potenze: il primo ministro britannico David Lloyd George, il presidente francese Georges Clemenceau, il presidente italiano Vittorio Emanuele Orlando (che poi abbandonò i lavori) e in una certa fase Wilson stesso. Divenne in breve una battaglia per ogni mezza isola, per spostare i confini un chilometro in qui o in là. Il risultato finale fu ben diverso da quello che Wilson aveva sperato: allo scoppio della Seconda guerra mondiale soltanto uno dei paesi nati dall'autodeterminazione era ancora una democrazia, la Cecoslovacchia. Anche questa, però, aveva nei suoi confini la bomba di tre milioni di Sudeti, una tentazione irresistibile per la Germania hitleriana.

Insomma, il conflitto micidiale che era nato senza che nessuno lo volesse davvero, si concluse con una pace che ebbe il primato singolare di scontentare tutti. L'Ungheria in particolare uscì malridotta dalle trattative: forse non è un caso che oggi la destra ungherese sia una colonna portante per chi pensa che l'Unione europea debba finire. Gli antichi miti che annientarono il paese non sono mai morti.

L'EUROPA MANCATA

Le vecchia Europa cadde con Francesco Ferdinando a Sarajevo. A posteriori l'erede al trono è stato presentato come un portatore del pensiero liberale, che progettava di trasformare l'antico impero in senso federale. In verità quelle idee erano comuni tra le aristocrazie austroungariche: nelle alte sfere circolava l'idea della federalizzazione come risposta al problema nazionale, ma con l'esplodere della Guerra nessuno volle metterla in pratica. Troppo pericoloso affrontare una ristrutturazione dello stato con un conflitto in corso. La disgregazione dell'impero ripose nel cassetto delle ipotesi archiviate il progetto federale, eppure quello stato cosmopolita e plurilingue fu per molti versi un anticipo di quel che vorrebbe essere l'Europa oggi.

Decenni dopo il capo della casa d'Austria, Otto d'Asburgo, sarebbe diventato membro del parlamento europeo. Gli capitava di frequentare le medesime osterie dei suoi colleghi. Tipo frugale, mangiava poco e portava un loden che mostrava tutti gli anni che aveva. Inutile dirlo, i nuovi signori che nel corso del Novecento occuparono i castelli di quel mondo tramontato non mostrarono altrettanta classe.

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