Il sindaco: "Non conosce la città, venga qui"
Per il primo cittadino le proteste vengono solo da "alcuni estremisti". Il ministro sloveno invitato a visitare Trieste per capire meglio
Il sindaco Dipiazza
TRIESTE.
«La lettera era per me e ho risposto da me, io non ho bisogno di parlare con nessuno». Roberto Dipiazza non ha scomodato ministri né funzionari della Farnesina. Per lui il caso «è chiuso» già prima di essere diventato di pubblico dominio. «Mica volevo crearne uno», taglia corto. Anche perché, e di questo il sindaco ne è convinto, «leggendo il documento ho capito che il ministro Zekš non ha ricevuto notizie esatte, per questo l’ho invitato qui a verificare di persona. D’altronde c’è sempre qualche estremista, che rappresenta peraltro una quota alquanto piccola in seno alla minoranza slovena, pronto a dipingere all’esterno una realtà inesistente. Non si può prendere una scritta su un monumento e spacciarla per la situazione di Trieste». «Dire che il sottoscritto - si sfoga Dipiazza - non opera per il bene della minoranza è una bugia. Ho voluto io le carte bilingui su richiesta, sono stato io nel 2003 a mettere assieme i sindaci sui luoghi della memoria. Sono io che voglio la massima collaborazione con i miei omologhi d’oltre confine».
La replica a Lubiana è partita dal Municipio 72 ore fa. «Concordo con Lei nella ferma condanna di questi odiosi episodi, attraverso i quali qualcuno vorrebbe far riemergere dei sentimenti di odio oggi del tutto estranei alla stragrande maggioranza dei triestini», scrive infatti il sindaco garantendo che «l’amministrazione comunale ha provveduto a ripristinare lo stato di integrità dei monumenti con un’immediatezza riconosciuta anche dalla stampa locale di lingua slovena».
«Di fronte a questi fatti di intolleranza - prosegue il testo destinato a Zekš - credo che il nostro compito di rappresentanti delle istituzioni sia da una parte quello di denunciare, ma dall’altra anche di non sovradimensionare dei fenomeni che riguardano ormai alcune sparute minoranze in cerca di una sopravvivenza ideologica erosa dal tempo. A tal proposito non ho ben compreso il significato di alcune Sue parole, quali ”ogni giorno siamo testimoni di incidenti rivolti contro gli appartenenti alla minoranza slovena”. Mi permetto di osservare che attribuire una frequenza quotidiana a questi gravi, ma pur sempre sporadici, atti di intolleranza rischia di dare ancora maggiore visibilità ai loro autori. Raffigurare infatti Trieste come una città dove persiste una ”pericolosa marcia dei suscitatori di intolleranza interetnica” è un’immagine non proprio coerente con la realtà... Mi trovo quindi in obbligo di far osservare come alle volte le analisi di situazioni storicamente complesse e culturalmente composite, come quella triestina, meriterebbero il supporto di più fonti, e non solo di una singola voce, magari proveniente da qualche isolato estremista che punta ad alimentare un allarmmismo in buona parte ingiustificato. Mi sorprende infatti che Lei non sia stato informato che gli obiettivi perseguiti da questa amministrazione sono sempre stati il dialogo, il rispetto e la convivenza tra tutte le componenti etniche e religiose della città». Ecco perché, stringi stringi, «non riesco a riconoscere la città di Trieste nelle espressioni e nei toni della Sua lettera».
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