Il San Giusto d’oro a Susanna Tamaro

Potrebbe bastare il San Giusto d’oro. Il premio che Trieste, con la regia dei Cronisti giuliani, assegna ogni anno a chi ha fatto onore alla città nel mondo. Ma a scandire questo primo mese del 2014, per Susanna Tamaro, ci saranno altri, importanti appuntamenti. Tanto per dire, il 21 gennaio la scrittrice festeggerà i vent’anni dalla pubblicazione del suo romanzo più fortunato: “Va’ dove ti porta il cuore”, che ha venduto la pazzesca cifra di 16 milioni di copie. E il 29, Bompiani pubblicherà il suo romanzo “Illmitz”. Che è rimasto chiuso in un cassetto per quasi quarant’anni.
La grande festa del San Giusto d’oro è fissata per venerdì, alle 12, nella sala del Consiglio comunale di Trieste. La settimana prossima, Bompiani manderà nelle librerie l’edizione “vintage” di “Va’ dove ti porta il cuore”, con una nuova copertina. Mentre la Emons, il progetto culturale che fa capo a Serena Nono, distribuirà l’audiolibro con la voce della scrittrice che legge il romanzo.
«Il San Giusto d’oro non è una lotteria - dice Susanna Tamaro -. Non stai lì a concorrere con un libro solo, sperando che la giuria scelga te. No, è un riconoscimento alla carriera, all’opera intera. E riceverlo proprio nella mia città mi dà una grande gioia. Nella mia vita non ho ricevuto molti premi».
A chi lo dedica?
«Non c’è dubbio: a mio padre. Era lui che ogni anno mi diceva: ma come, l’hanno ricevuto tutti e a te ancora non lo danno? Mi ha riempito la testa con il San Giusto d’oro e, adesso, la dedica se la merita tutta. Alla memoria».
Trieste, in realtà, non l’ha mai lasciata...
«A volte mi stupisco quando, nell’elenco degli scrittori triestini, non mi trovo. Perché sono triestina in tutto. Nel patrimonio genetico, nelle storie che scrivo e che, quasi sempre, sono ambientate tra la città e il Carso».
Potrebbe ambientare una storia a New York?
«Credo di no. Non la conosco, finirei per dire cose scontate, imprecise. Del resto, Stephen King non ha mai ambientato un suo libro a Trieste. E io, quando penso a un nuovo romanzo, tendo sempre ad immaginarlo nei luoghi dove sono stata bambina. Anche se poi mi sono trasferita a Roma e adesso vivo nella campagna di Orvieto»
Gli scrittori triestino sono ancora un enigma?
«Diciamo che sono un po’ un mondo a parte. Non a caso dobbiamo sudare tanto per farci conoscere, per arrivare ai premi importanti. Siamo una categoria a parte, un territorio sconosciuto, all’interno della letteratura italiana. Forse ci considerano anche un po’ strani».
Tra pochi giorni esce il suo primo libro. Perché non l’ha pubblicato prima?
«Si intitola “Illmitz” e l’ho scritto quando avevo diciott’anni. Mi sembrava un po’ un intruso nel ciclo di libri che sono andata pubblicando dal 1989. Poi, è arrivato “Ogni angelo è tremendo” e allora ho capito che era il momento giusto per portare alla luce quel libro così a lungo dimenticato».
L’ha riletto?
«Adesso sì. Ero molto perplessa, perché dopo trent’anni un libro può invecchiare. Invece, sono rimasta stupita dalla maturità di quel mia primo romanzo. Quando l’ho scritto, non pensavo assolutamente di fare la scrittrice. Anzi, a essere sincera, non sapevo proprio che strada seguire».
E allora?
«L’ho fatto leggere a Claudio Magris. Grazie all’aiuto della maestra Pontoni, meravigliosa insegnante della Scuola elementare De Amicis che ho frequentato anch’io. Era amica della mamma dello scrittore, pure lei maestra».
Qual è stato il responso?
«A Magris è piaciuto subito. Poi l’ha letto anche Giorgio Voghera, che mi ha incoraggiata moltissimo, e altre persone. Io ho provato a mandarlo a qualche casa editrice. Ma non usciva, non avevano il coraggio di pubblicarlo. Era troppo diverso rispetto agli schemi della narrativa italiana di quegli anni. Allora spopolavano scrittori come Andrea De Carlo».
Aveva trovato la strada maestra?
«Solo dopo l’ho capito. Perché a un certo punto mi sono detta: io questo so fare, scrivere. Il problema era che dentro di me non c’era la classica scrittrice in erba. Non ero bravissima nei temi d’italiano, non ero neppure una grande lettrice. Anzi, amavo molto andare per i boschi. Studiare le piante, gli insetti».
E com’è nata questa passione?
«Così, per caso. Ricordo che già da bambina mi divertivo a raccogliere i minerali, a studiarli. In realtà, nella mia famiglia c’era stata una parente appassionata come me di tutte le cose della Natura. La zia Marisa, morto a vent’anni, s’era iscritta a Scienze naturali».
Scienze e scittura: un legame forte?
«Assolutamente sì. Chi impara a guardare la Natura con occhio attento, poi sa anche come organizzare la pagina di un libro. In un bosco io osservo tutto: piante, funghi, insetti. Questa precisione è importantissima se fai lo scrittore. Ti permette di analizzare la realtà mettendo in collegamento tutte le cose che la determinano».
Mai pensato di scrivere un saggio?
«L’avevo scritto, però non riesco più a trovarlo. È andato perduto insieme ad altre carte che non ho salvato in una memoria digitale. Ma forse un giorno lo riscriverò».
Più romanzi o più libri scientifici?
«A casa mia sono quasi più i libri che riguardano le scienze naturali. E poi ho i miei erbari, la collezione di minerali. Sono argomenti che non mi annoiano, anche se non ho mai avuto un maestro».
C’è una Susanna Tamaro appassionata di arti marziali...
«Una passione iniziata abbastanza tardi. Potevo avere 25 o 26 anni, mi perseguitava una terribile emicrania. Un giorno, un amico neurologo mi ha consigliato di provare con le arti marziali, per scaricare l’energia in eccesso. Quando ho cominciato con il karate, avevo paura di tutto. Sono una pacifista, non ho il culto della forza fisica».
Il mal di testa se ne andò?
«Dopo un mese di Okinawa Tradizional Karate mi è passato tutto. E ho imparato che le arti marziali, in realtà, ti insegnano a sfidare te stesso. A lottare con le tue debolezze, con le paure. Adesso, invece, sembra che tutto deve sfociare nel combattimento. Ma il nemico di ognuno di noi siamo noi stessi».
Non solo nel karate, anche sulla pagina bianca...
«Proprio così. Le arti marziali ti insegnano ad affrontare l’insicurezza. E anche l’eleganza del gesto, la perfezione del movimento. Quello che uno scrittore cerca con le parole sulla pagina. Nel karate non puoi mentire, neanche quando scrivi. Sono due mondi strettamente legati».
Solo karate o anche altre discipline?
«Sono stata insegnante di Karate Okinawa, che assomiglia un po’ al Kung Fu. Poi ho praticato Aikido e Tai Chi. La cosa più strana è che quando ho iniziato, ero l’unica donna che frequentava la palestra di Roma dove andavo. Poi, piano piano, ne è arrivata un’altra».
La nuova sfida, adesso, è quella dell’apicoltura.
«Da tanti anni ci pensavo. Ma mi fermava sempre il fatto che non puoi leggere un libro e basta, devi trovare qualcuno che ti insegni a farlo. Perché è un’arte. Poco tempo fa, hanno aperto un corso a dieci chilometri da casa mia in Umbria. Lì ho imparato tantissimo».
Adesso ha il suo sciame?
«No, ne ho dieci di sciami. Per un totale di sessantamila api. Attorno a me non ci sono coltivatori che usano prodotti chimici. Abbiamo pascolo, distese di fiori. Lì nasce il miele che produco io, e che adesso vorrei vendere anche nei negozi».
Ma lo sciame va e poi ritorna?
«No, se segue una nuova ape regina, lo sciame non ritorna più. E in un attimo hai perso tutto. Però, a volte, da te può arrivare un’altro sciame. Oppure devi camminare per giorni nei boschi per cercarlo. Le api sono così: rispondono solo alle loro leggi, non alle nostre».
Sta già pensando a un libro nuovo?
«Vorrei scrivere una nuova storia per ragazzi. Ne ho già fatte tante, da “Cuore di ciccia” a “Il grande albero”, ma non è mai facile. Con il mio “Angelo” si è chiusto un ciclo di scrittura, e non so cosa ci sarà nel futuro. Ho pubblicato venti libri seri, adesso vorrei un po’ divertirmi. Magari, chissà, raccontando il mondo degli animali. Gli insetti, le api.
alemezlo
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