Il rito istriano della macellazione del porco

Seguite le fasi lunari come da tradizione. L’allevatore spera soffi la bora i primi giorni dopo l’uccisione

di Bruno Lubis

BUIE

La luna comanda l’inizio del periodo migliore per ammazzare il porco. In Istria, ma anche in Friuli, le famiglie guardano il cielo per osservare la fase calante e aspettano tempo freddo per il rito antico e atteso da un anno: la festa del porco. Non maiale, termine asettico e cittadino, ma porco o purcìt, nomi caserecci per una bestia allevata vicino a casa che ha mangiato gli avanzi di famiglia e che saprà rifondere con tutto il suo bendidio gli uomini che tanto l’hanno curato e poi ammazzato in un rito che torna ogni anno, riconoscente. Ci sono senz’altro macellerie industriali che non badano alle fasi lunari, come ci sono popoli nell’orlo meridionale del mar Mediterraneo che aborrono il maiale, perché – dicono – impuro. Non impuro né sporco, ma solo antagonista alimentare dell’uomo: il maiale (in questo caso usiamo il termine più distaccato) mangia tutto quello che mangia l’uomo e in certe zone vicine al destero non è tollerabile.

Una cantina con una tavolata comoda è pronta, il clima è ormai freddo, le bestie sentono qualcosa di frenetico nell’aia: la caldiera piena d’acqua che va a bollire per pelare le setole, un via vai di gente e un uomo che entra nello stabulo con un tubo in mano, lo appoggia sulla fronte del porco, preme il grilletto e la bestia cade tramortita.

Si inizia così il rito. Tanti anni fa l’uccisione era più lenta e sanguinaria, Entravano nella stalla un paio di uomini e trascinavano per le orecchie il porco fino al luogo dove veniva coricato su una stuoia: quattro uomini a trattenere le gambe dell’animale e due per le orecchie. Un settimo, il norcino del villaggio, infilava sotto la gole, un coltello lungo e sottile fino a trafiggere il cuore. Una donna arrivava con una padella, vi buttava una manata di sale, e mescolava il sangue zampillante. Il sangue serviva per i sanguinacci (le “mule” in Istria e le “martundelis” in Friuli) ma anche per mescolarlo col vino e farne un sugo prelibato dove intingere la polenta della serata. Si diceva della fase lunare. Roberto Barbo, macellaio ancora giovane, ci crede all’influenza lunare ma non troppo. Per i prosciutti, c’entra senz’altro la luna, perché vanno asciugati lentamente e si mangiano più o meno dopo un anno. Ma per le salsicce, gli omboli, la luna non influisce perché vanno consumati pochi mesi dopo. Però lui, anche se non ci crede troppo, aspetta luna calante per mettere in lavoro i salumi. Il giorno della festa del porco si tagliano le carni per le “luganighe”, per i “crodeghini”, si limano gli ossocolli e gli omboli, si mettono sotto peso le coscie e le spalle del porco per far uscire anche l’ultima stilla di sangue che sempre rimane in mezzo al blocco. Solo dopo un giorno o due, spalle e cosce vanno salate e impepate e finalmente appese. Sperando nella bora per i primi giorni.

Asciugati per bene, poi bisogna che l’inverno non resti troppo secco e ventoso ma ci sia quel tanto di umido che lento lento porti i prosciutti a maturazione. Un tempo in Istria si macellavano i magroni, sorta di maiali che venivano preparati sugli Appennini e poi inviato in Istria. Maiali magri, bestie da 160-180 chili, tirati su dopo aver castrato i maschietti con il falcetto, a verdure lungo l’estate e poi a pastoni, granaglie e patate nei mesi d’autunno. In modo da aver carne sana e abbastanza magra a dicembre e a gennaio. Il lardo e la pancetta, poi, mica erano pezze da scarto. Il grasso era un bene prezioso per gente che coltivava campagne senza il trattore: solo manzi per arare e braccia per zappare.

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