IL RISVEGLIO DI TRIESTE
Il risveglio di Trieste avviene in un’assolata giornata di luglio, Anno Domini 2017. Il paziente, sprofondato in un coma che pareva a un certo punto irreversibile, ha all’improvviso riaperto gli occhi puntando uno sguardo inaspettatamente vigile verso l’azzurro estivo dell’Adriatico. Lo stimolo esterno necessario a strappare la città all’immobile torpore arriva da Strasburgo: poche righe di comunicazione formale, lette quasi con timidezza da un raggiante Stefano Fantoni in una stanzetta del Centro di Fisica teorica di Miramare: «Trieste ha vinto, sarà Capitale europea della scienza nel 2020».
Quanto significhi questa aggiudicazione lo capiremo meglio nei prossimi mesi. Ma la sensazione della svolta è fortissima. I rendering che prefigurano l’utilizzo intensivo del cuore del Porto vecchio per l’expo europea appena conquistata ci ballano davanti agli occhi. Non stiamo parlando di un futuro lontano e improbabile, ma di qualcosa di finalmente concreto e vicinissimo: due anni o poco più per allestire centro congressi, aule, aree espositive, zona food in riva al mare, per vedere finalmente completato e abitato il gigantesco Magazzino 26, da tempo immemore restaurato al grezzo e lasciato lì, colpevolmente, a languire.
Il Fato ci sa fare: così non può essere casuale, nelle logiche imperscrutabili della Storia, che l’annuncio del trionfo all’Esof 2020 si accavalli e si intersechi con un’altra data memorabile per Trieste, quel Summit sui Balcani che – portando in piazza Unità Merkel, Macron, Gentiloni e altri dieci capi di Stato e di governo a vario titolo cointeressati ai destini dei Paesi dell’ex Jugoslavia – sottolinea al cospetto dello scenario globale il ruolo di cardine culturale, economico, sociale e infrastrutturale che Trieste può (e deve) svolgere per quell’area d’Europa.
In verità, i segnali che indicavano l’imminente sobbalzo sul letto rianimatorio abbondavano, ormai da un pezzo. È come se i parametri vitali di Trieste, flebili e discontinui per decenni, diciamo pure da un secolo a questa parte, si siano uno dopo l’altro rimessi in sesto. Città portuale ed emporiale per eccellenza, la prima scossa al suo corpaccione esanime è arrivata nel 2015 proprio dalla lungimirante sterzata alla guida dello scalo. In “rapida” successione, ecco l’avvio del processo di sdemanializzazione di Porto vecchio che, non più di dieci giorni fa, ha avuto deciso progresso con la firma del decreto attuativo – da parte del governo – del Punto franco triestino: atto epocale che mette nelle mani del presidente dell’Autorità, Zeno D’Agostino, un’eccezionale opportunità per far decollare traffici e investimenti.
La Cina è della partita. Nelle ultime settimane delegazioni inviate espressamente da Pechino hanno visitato moli, banchine, magazzini, retroporto. L’interesse per trasformare Trieste in un importante snodo dove smistare la merce da e per l’Estremo Oriente è ormai molto di più di un semplice proclama.
L’ossigeno che gonfia i polmoni rattrappiti dell’area giuliana arriva poi da numerose altre vie. Il nodo critico delle infrastrutture e dei trasporti sembra avviarsi lentamente alla risoluzione. Le Ferrovie investono (di nuovo, soprattutto nei binari del porto e sul versante merci; sui passeggeri siamo invece ancora fermi alle buone intenzioni). Il cantiere della Terza corsia dell’A4 ci fa soffrire, ma è un male necessario per ottenere un’autostrada ampia e percorribile in sicurezza.
Sul piano dell’accoglienza, in città si riscontra un imponente programma di rafforzamento dell’offerta alberghiera, non legata al solo turismo – che pure dà rilevanti soddisfazioni e indici d’incremento a due cifre – ma anche al business e, si spera presto, all’attività congressistica.
Nel circolo virtuoso mettiamoci pure le recenti imprese internazionali di Fincantieri, la cui sede legale e amministrativa si trova pur sempre sulle Rive: l’acquisizione di Stx France – Saint Nazaire rimette Trieste al centro della scena industriale planetaria.
Vogliamo esagerare? Mens sana in corpore sano: qualcosa di veramente buono sta succedendo pure nello sport. Pallacanestro Trieste e Triestina, dopo lustri di sofferenze e umiliazioni, hanno ripreso a far canestri e gol, riportando all’Alma Arena e al Rocco folle ed entusiasmi d’altri tempi. E i Campionati assoluti d’atletica leggera, svoltisi a fine giugno al rinato (ma ancora cantierato) stadio Grezar hanno dimostrato a suon di tribune piene la grande voglia di partecipazione e di protagonismo del pubblico triestino.
Intendiamoci: Trieste si è davvero svegliata, e questo conforta. Ma resta al momento un organismo fragile, con prognosi da convalescente. Le magagne che la tormentano sono purtroppo serie e molteplici: vanno affrontate e appianate una a una, passo dopo passo.
Per scongiurare devastanti ricadute sono necessarie iniezioni di fiducia, robuste dosi di concretezza e un ritrovato affiatamento tra chi ha il compito di curarne la guarigione completa e la ripresa. Sarebbe sufficiente un inopinato rigurgito di miope provincialismo egoista per soffocare le speranze di poter vivere in una città rivolta al futuro, ai giovani, al lavoro, al rilancio demografico ed economico.
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