Il rischio che il virus del vaiolo si estenda ad altri animali

Dobbiamo preparaci al fatto che questo problema delle zoonosi (malattie trasmesse all’uomo dagli animali) è destinato a essere sempre più frequente, in un mondo popolato da oltre 8 miliardi di individui e con un habitat naturale sempre più ristretto e degradato
Mauro Giacca
Mauro Giacca ieri alla presentazione di Science&theCity
Mauro Giacca ieri alla presentazione di Science&theCity

TRIESTE Continua a esserci preoccupazione per il virus del vaiolo della scimmia (monkeypox virus), non tanto per la gravità della malattia che causa ma per la possibilità che possa stabilmente uscire dall’Africa e fissarsi in alcune specie animali in Europa e nel Nord America, diventano quindi un pericolo persistente per le persone a livello planetario.

I casi di infezione da monkeypox sono continuati a crescere nelle ultime settimane. Almeno 1300 persone risultano oggi colpite in oltre 30 paesi (una ventina da noi in Italia). Nella maggior parte degli individui la malattia non è grave, tranne che nei pazienti con una compromissione del sistema immunitario. Intorno alle persone infettate viene ora implementata una politica di vaccinazione ad anello, per cui si inizia a vaccinare i contatti più stretti per poi allargare progressivamente il cerchio.

Il vaccino si chiama MVA (Modified Vaccinia Ankara) e deriva da un virus del vaiolo isolato in Turchia e poi ulteriormente modificato per aumentarne la sicurezza. Lo produce un’azienda danese, la Bavarian Nordic, che ha già ricevuto commesse importanti nelle ultime settimane.

La maggiore preoccupazione, però, ora è quella che il virus possa trasmettersi diffusamente alle specie animali, per poi agire da serbatoio continuo dell’infezione negli anni a venire. A differenza di altri virus, come HIV o SARS-CoV-2 che necessitano di specifici recettori per poter entrare nelle cellule e quindi sono molto selettivi in termini di specie e di tipo di cellula che possono infettare, i virus della famiglia poxvirus, cui sia il virus del vaiolo umano che monkeypox appartengono, sono molto più promiscui e possono penetrare in cellule di specie diverse (il virus del vaiolo riesce persino a infettare le cellule del moscerino della frutta). Inoltre, dal punto di vista immunologico, virus come monkeypox contengono un corredo di più di 200 geni, diversi dei quali sono in grado di contrastare l’azione del sistema immunitario. In paragone, i virus del vaiolo e della varicella hanno perso diversi di questi geni, e possono quindi essere neutralizzati con molta più facilità. Queste caratteristiche suggeriscono che monkeypox possa infettare specie animali diverse senza grandi ostacoli.

La storia di questa malattia conferma questa preoccupazione. Fino al 2003, monkeypox era strettamente confinato all’Africa. Nonostante il virus fosse stato identificato per la prima volta nel 1958 in un laboratorio a Copenhagen, in Danimarca, in alcune scimmie importate dall’Asia, si concluse poi che queste scimmie avevano contratto l’infezione in cattività da altri primati catturati in Africa. Anche tutti i casi umani riportati fino a poche settimane fa erano collegabili al contatto con animali in Africa, a partire dal primo nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo (Zaire in quel tempo). Quali fossero gli animali che fungevano da serbatoio, però, era rimasto argomento di discussione. Il virus è stato trovato in ratti e scoiattoli, specie in cui molti individui mostrano anche tassi di anticorpi elevati. Questo ha fatto pensare che il serbatoio animale di monkeypox, nonostante il nome, fosse quello dei roditori, e che la trasmissione alle scimmie sia solo sporadica.

Il primo caso extra-africano fu documentato nel 2003. Una bambina di 3 anni del Wisconsin aveva sviluppato la malattia dopo una decina di giorni da quanto era stata morsicata dal suo criceto della prateria (praire dog, una specie di roditore molto frequente negli Stati Uniti), che teneva come animaletto da compagnia. Nei due mesi successivi, i suoi genitori e altre 69 persone avevano contratto la malattia. Questo focolaio di infezione negli Stati Uniti fu attribuito alla sciagurata idea, da parte di un distributore in Texas, di tenere negli stessi ambienti roditori importati dal Ghana e criceti catturati in Nord America. Più di 300 dei roditori provenienti dall’Africa e dei criceti americani esposti all’infezione non furono più trovati. La preoccupazione, ora, è che la diffusione del virus possa favorire ancora più sistematicamente il passaggio agli animali anche in Europa, dove il virus potrebbe stabilire un serbatoio permanente. In particolare, i roditori rappresentano più del 40% degli animali selvatici. In diverse situazioni, razziano i rifiuti umani, da dove potrebbero venire infettati, o possono venire in contatto con gli animali domestici. Le autorità pubbliche di molti paesi hanno già diffuso avvisi che invitano le persone che hanno lesioni cutanee da monkeypox di stare lontano dai propri animali da compagnia fino alla guarigione completa.

Almeno due le morali di questa vicenda, almeno fino ad adesso. La prima, che è meglio stare lontano dagli animali, specialmente da quelli selvatici. Da Ebola a Covid, dalla rabbia alla peste bubbonica, la storia delle malattie infettive è densa di malattie trasmesse dagli animali all’uomo, direttamente o indirettamente. La seconda è che dobbiamo preparaci al fatto che questo problema delle zoonosi (malattie trasmesse all’uomo dagli animali) è destinato a essere sempre più frequente, in un mondo ormai popolato da oltre 8 miliardi di individui e con un habitat naturale sempre più ristretto e degradato.

Riproduzione riservata © Il Piccolo