Il rebus dei mini Cie: scontro aperto in Fvg sulle mosse di Roma

TRIESTE. Mini Centri di identificazione ed espulsione da massimo cento posti, diffusi in ogni regione italiana. Dopo la levata di scudi di molti amministratori locali sulla possibilità di un ritorno ai vecchi Cie, il Viminale definisce con maggiore dettaglio il piano che intende ottenere il raddoppio dei rimpatri degli immigrati irregolari. Il ministro Marco Minniti ammorbidisce l’ipotesi iniziale, ponendo un tetto alla dimensione delle strutture che ospiteranno migranti considerati socialmente pericolosi, prevedendo in ciascuna di esse la figura del garante dei diritti degli immigrati e promettendo controllo costante sugli standard umanitari.
La collocazione del mini Cie in Friuli Venezia Giulia resta tuttavia un rebus, così come il numero di strutture che potrebbero essere necessarie per rispondere alle necessità del territorio. Il prefetto di Trieste, Annapaola Porzio, attende istruzioni: «Prima di dire qualunque cosa, servono le indicazioni dal ministero. Posso solo notare che intanto le presenze cominciano a scendere».
A essere certo al momento è soltanto che il governo è andato incontro alle proteste di quei sindaci e presidenti di Regione contrari ai Cie prima maniera, divenuti simili a carceri dove gli irregolari rimanevano rinchiusi per mesi in attesa di rimpatri sempre molto complessi. Fra i detrattori c’era anche Debora Serracchiani, che plaude alla correzione di rotta: «Con il ministro Minniti c’è volontà di dialogo e collaborazione. Il piano sarà condiviso nella prossima Conferenza Stato-Regioni (in programma il 18 gennaio, ndr). Ragioniamo su strutture piccole, efficienti e distribuite omogeneamente. Quella dei rimpatri, forzosi o volontari, non è più un’opzione rinviabile, soprattutto alla luce di ripetuti atti di delinquenza: servono strutture adatte allo scopo».
Il coordinatore regionale della Lega Nord, Massimiliano Fedriga, è di altro avviso: «I nuovi mini-Cie sono l’ennesimo pasticcio: l’unica risposta è adottare il pugno di ferro con chi risiede illegalmente sul suolo nazionale, in primo luogo estendendo la capienza dei Cie e riconvertendo tutte le strutture esistenti in centri di identificazione ed espulsione».
Per il capogruppo in consiglio regionale di Forza Italia, Riccardo Riccardi, «il problema non sono le sigle, ma regole e obiettivi. Vanno identificati punti di raccolta che garantiscano veloci procedure per identificazione e accertamento dei requisiti per rimanere nel nostro Paese, spostando l’attenzione dalle strutture ai tempi delle procedure».
Il Movimento 5 Stelle ribadisce la sua contrarietà con Ilaria Dal Zovo: «Abbiamo già visto cosa significa un Cie. Mini o maxi, poco importa: non sono strutture adatte a garantire i diritti umani delle persone, che ci entrano e ne escono dopo tanti mesi».
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