Il procuratore Mastelloni: «Ormai sul nostro territorio le organizzazioni mafiose non sono più di passaggio»
La ricostruzione
«Piano piano abbiamo una mappatura di carattere generale che ci può consentire di non parlare neanche più di infiltrazioni ma di insediamenti insidiosi con la presenza del clan dei Casalesi, uno dei più agguerriti come storia per la loro pertinacia». Il procuratore di Trieste, Carlo Mastelloni, ha voluto riferire personalmente dei dettagli dell’inchiesta. «Nel nostro territorio - ha precisato Mastelloni, a fianco del pm Massimo De Bortoli, titolare del fascicolo - non è mai accaduto un fatto che vede sette arrestati con l’aggravante del metodo mafioso. Ciò dà modo di pensare a un’allocazione non temporanea di queste organizzazioni sul nostro territorio».
Mastelloni poi ha rimarcato la «carenza di numero sia della sezione della Dia di Trieste che del Ros, che ha peraltro sede a Padova. Io sto auspicando l’aumento numerico di queste forze che sono ormai indispensabili perché le mafie si muovono con passo molto più veloce della magistratura che ha pochi mezzi. Attraverso tutta una serie di strumentazioni sappiamo che loro si muovono con una velocità di azioni che noi non abbiamo e quindi stiamo loro dietro a stento. Ecco la necessità di rinforzare i numeri». Perché, ha insistito Mastelloni, «il nostro territorio è ormai minato da queste organizzazioni: abbiamo a che fare con vere e proprie holding».
L’operazione “Piano B” non è ancora conclusa: oltre ai sette arrestati (le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state disposte dal gip Guido Patriarchi) ci sono almeno altri cinque indagati. E l’indagine, come ventilato ieri in conferenza stampa, si è allargata a macchia d’olio. Non si escludono altri risvolti. Una delle piste possibili è la provenienza e la destinazione del giro di soldi spuntati da questa inchiesta.
«Tutti gli indagati - ha precisato il tenente colonnello Giacomo Moroso, caposezione della Dia triestina, in conferenza stampa con il comandante del Nucleo della Gdf di Trieste Enrico Blandini - devono rispondere a vario titolo per aver partecipato a estorsioni commesse in Croazia e pianificate in Italia, a danno di imprenditori e professionisti, alcuni dei quali italiani operanti a Pola. E finalizzate, tramite minacce e intimidazioni e perciò con metodo mafioso, a favorire gli interessi del famigerato clan camorristico dei Casalesi. Nel corso delle indagini sono emersi numerosi elementi che hanno indotto gli investigatori a individuare in Fabio Gaiatto, presunto intermediario finanziario di Portogruaro, attualmente detenuto nel carcere di Pordenone, l’investitore di 12 milioni, appartenenti a consorterie criminali riconducibili ai Casalesi».
L’incapacità di Gaiatto di rifondere ai Casalesi i quattrini affidati dagli stessi camorristi ha fatto partire il meccanismo estorsivo nei confronti degli imprenditori con i quali il broker veneto era in affari. «In altre parti d’Italia Gaiatto avrebbe fatto un’altra fine perché non è riuscito a restituire i 12 milioni alla Camorra- ha osservato ancora il colonnello Moroso - ma qui la criminalità organizzata preferisce non creare allarme sociale». Complessivamente sono stati impiegati 100 uomini appartenenti a Dia, Nucleo di Polizia economico-finanziaria, reparti della Finanza e militari dell’Ottavo Reggimento Genio Guastatori di Legnago. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo