Il privilegio di vivere un istante senza fine

TRIESTE Vivere, lavorare a Trieste significa avere un privilegio. A me è toccato in dono per due anni esatti e, come dovrebbe ogni privilegiato, dovevo solo mettere a frutto al meglio questa possibilità. Di aver incontrato una città unica, irripetibile, diversa da ovunque; fatta di gente differente, anime spesso inquiete di una realtà affascinante, ben oltre la bellezza assoluta del suo paesaggio: complessa come può esserlo solo il frutto di una storia che solo qui si è dispiegata e accanita.

E a te il compito di doverlo raccontare e far capire, fino in fondo. A chi è curioso di comprendere ogni giorno di più come e dove vive, come a chi è convinto di sapere già tutto meglio di chiunque altro, proprio in ragione del fatto che è di qui, è di Trieste: che altro, al mondo? E provare a farlo attraverso le pagine di un quotidiano che è parte viva ed eterna di quella storia, di quell’identità composita, di quella consapevolezza smodata, assoluta: che ne è strumento irrinunciabile e al tempo stesso primo bersaglio da indicare nell’iniziare o perpetuare una discussione. Sul tutto come sul nulla.

Se ci sono riuscito o meno, non sta a me dirlo. A me sta ringraziare tutti i colleghi della redazione per aver condiviso o accettato costruttivamente le mie scelte, sono stati e saranno bravissimi giornalisti, schiena dritta e legame sincero con il loro giornale, come Il Piccolo con i suoi 140 anni di successi e valori merita di avere. E al pari loro tutti i collaboratori, straordinariamente e diversamente preziosi. Oltre all’editore, che ora mi chiede la disponibilità a un’altra esperienza professionale: grazie per la possibilità, come mai mi era successo in 35 anni di mestiere, di essermi messo qui alla prova e in discussione. Come ogni giorno si dovrebbe fare, anche e forse soprattutto qui, a Trieste, certo. Per essere all’altezza di un passato d’oro e immaginare, costruire ciascuno per la sua parte, un futuro ancora e altrettanto pregiato.

Omar Monestier, a cui lascio con amicizia e stima il timone, saprà farlo da par suo: con visione, rispetto, determinazione ed eleganza. Per me sono stati due anni così intensi, così belli, così provanti, così arricchenti che possono sembrare lunghi un attimo: di quelli che durano per sempre, come rispondeva Bianconiglio ad Alice nel paese delle meraviglie, appunto, mica Svevo, Joyce o Saba. Perché una volta vissuta questa terra, queste genti, questo cielo, questi confini, questi venti nulla può più essere uguale a prima. È la benedetta maledizione che vi fa diversi, da tutto e da tutti, da sempre. È un privilegio, appunto. Ora un po’ anche mio. Non sciupiamolo. —

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