Il priore dei Templari guida una bocciofila
Grandis: «A Trieste siamo rimasti undici tra cavalieri e dame»

Il Gran priore dei Templari oggi fa il presidente di una bocciofila. È quella di San Luigi: 230 soci, mica uno scherzo. La vita di Walter Grandis però è ora molto più prosaica di prima. «A Trieste siamo in undici, cavalieri e dame – racconta dal suo ufficio in via Biasoletto – ma in tempi di Isis abbiamo riposto i mantelli. Continuiamo a sentirci, ma basta cerimonie pubbliche. È passato a trovarmi un amico, un uomo molto vicino agli apparati di sicurezza dello Stato e mi ha consigliato di stare calmo. Il pericolo non è certo un grande attentato preordinato, ma il colpo di testa di un anonimo vicino di casa radicalizzato all’Islam. Attendiamo tempi migliori e i mantelli bianchi dei cavalieri e neri delle dame, con le croci rosse, li lasciamo dentro gli armadi».
Il 4 giugno 1999, Grandis, giornalista e saggista, è stato nominato all’unanimità dal Consiglio nazionale Gran priore d’Italia e la nomina gli è stata ratificata a Muggia dal Siniscalco del Tempio. Si legge però su Internet: il 5 agosto 2005, il gruppo sedicente O. S. M. T. J. di Walter Grandis, espulso dall’O. S. M. T. J. nel 2002, nomina il sig. Van der Stock, (ex Gran Cancelliere dell’O. S. M. T. J. , sedicente Gran Siniscalco facente funzioni di Gran Maestro), a 51° Gran Maestro. Lo stesso, pochi giorni dopo, emette Bolla di espulsione per Walter Grandis e per il suo Maresciallo Franco Taraglio di Torino. Nel ginepraio di gruppuscoli templari e sedicenti tali nessuno si raccapezza più. «Non esiste un copyright templare – afferma lo stesso Grandis – e chiunque può alzarsi una mattina e decidere di formare un gruppo chiamandolo Ordine templare». La storia dei Templari a Trieste per il momento si ferma qua. Secondo Elisabetta Rigotti, ricercatrice triestina che sull’argomento ha pubblicato un libro giunto alla terza edizione, vive il suo momento culminante e più sanguinoso all’inizio del quattordicesimo secolo. Marcus Reifenberg, italianizzato Ranfo, discendente dai conti di Diessen, cavalieri bavaresi associati all’ordine del Tempio diviene vassallo del Patriarcato di Aquileia e dei conti di Gorizia e in meno di un secolo la sua famiglia acquisisce feudi estesi. A Tergeste Marcus è giudice, ambasciatore e podestà. Evidentemente è troppo ricco e potente sia per il vescovo che per i patrizi delle tredici Casade. Viene denunciato all’Inquisizione, ma non esistono atti di un processo per congiura. Viene comunque mandato a morte nel 1313 assieme ai suoi figli maschi, forse perché, si legge in altri testi, traditore a favore di Venezia. Le sue proprietà sono confiscate. La sua casa in Cavana viene distrutta con spargimento di sale e la riserva di non poter più edificare in quel luogo. Per una nemesi storica la sua proprietà sta oggi acquisendo nuova vita grazie alla Chiesa cattolica intenzionata sembra a riaprire un luogo di culto, un centro di aggregazione, forse un museo diocesano.
A sorgere sul fondo «dannato e vacuo» dei Ranfi è infatti l’edificio di via San Sebastiano 3 restaurato in questi mesi dalla Curia. Secondo alcuni già nel 1365 la confraternita di San Sebastiano edifica in quel sito la propria chiesetta. Fonti più accreditate sostengono che la chiesetta sorge per desiderio testamentario del vescovo triestino Nicolò Aldegardis che nel 1447 auspica la costruzione di un luogo di culto dedicato al santo da erigersi dopo la sua dipartita. La chiesetta però secoli dopo, nel 1782, viene sconsacrata dall’imperatore Giuseppe II che vuole eliminare le congregazioni che non sono in grado di autogestirsi e allontana da Trieste i Gesuiti. Viene convertita in abitazione privata e venduta nel 1785 al barone Francesco de Zanchi che modifica gli interni e la facciata. Nel 1871 passa in eredità a Regina Abriani e quindi a Margherita Nugent Laval che nel 1951 la cede al Comune con un atto di donazione congiuntamente all’edificio adiacente, il palazzetto Leo dove dal 2001 il Comune ha sistemato il Museo d’arte orientale della città. Il 27 giugno 1951 la contessa Margherita Nugent Laval al tempo residente a Firenze va dal notaio e dichiarandosi negli atti «agiata» riferisce di essere in possesso dei due edifici, che intende donare, per una lunga vicenda ereditaria che risale alla famiglia patrizia dei Leo, una delle tredici casade fondatrici di Trieste. Il passaggio alla Curia e il restauro sono cronaca di oggi.
La presenza dei Templari nei dintorni di Trieste è comunque testimoniata da alcuni lasciti iconografici. «Secondo una recente ipotesi – sostiene Grandis – anche il tesoro potrebbe essere occultato da queste parti. Si sussurra infatti che grandi ricchezze vennero fatte risalire con carovane lungo la via balcanica per evitare i trasporti via mare particolarmente rischiosi per possibili naufragi o per gli ancor più frequenti assalti dei pirati. Il prezioso carico sarebbe stato sepolto all’interno delle mura sul colle di San Giusto, più o meno dove oggi sorge il Castello. Ma forse si tratta solo di fantasticherie» . Nel piazzale delle milizie del Castello è stata comunque recentemente incastonata e frettosolosamentre restaurata una Madonnina templare del XIII secolo.
Tra Santa Croce, Muggia e Corgnale in Slovenia altre simbologie templari sono presenti. Grandis nel suo libro “Templari: il vero segreto” afferma di essere stato il fautore di un riavvicinamento dell’Ordine alla Chiesa cattolica con l’istituzione della “Giornata della remissione” che decreta da parte dei neotemplari il perdono ai colpevoli dell’assassinio di Jacques de Molay e Goffredo di Charnay, e ai loro successori. «Il 9 aprile 2011 – si legge – il Gran priore (Grandis, ndr.) viene ricevuto in Vaticano dal sottosegretario del Pontificio consiglio per i laici, Guzman Carriquiry al quale consegna copia del decreto sulla “Giornata della remissione” , ricevendo assicurazione dell’apertura di un documento di protocollo verso l’istituzione neotemplare da lui governata». Tra le altre iniziative, su richiesta dello stesso Gran priorato, l’amministrazione comunale di Lusevera, in Friuli, ha intitolato il piazzale di Villanova delle Grotte al maestro Jacques de Molay, “martire del libero pensiero” .
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