Il Premio Nobel per la Fisica a uno scienziato amico di Trieste

Il grande scienziato ammirato e contestato dai colleghi per il suo pensiero rivoluzionario sulla "magia quantistica"
Roger Penrose con Paolo Budinich nel gennaio del 2002 durante la sua visita alla Sissa e al Centro di fisica teorica. (Foto F.Pagan)
Roger Penrose con Paolo Budinich nel gennaio del 2002 durante la sua visita alla Sissa e al Centro di fisica teorica. (Foto F.Pagan)

TRIESTE Un premio Nobel per i buchi neri. Prima o poi doveva arrivare, ma quest’anno è giunto inatteso. Anche perché il riconoscimento per la Fisica, negli ultimi vent’anni, ha visto quasi sempre un’alternanza tra fisica delle alte energie e cosmologia da una parte e fisica della materia con le sue applicazioni dall’altra: e l’anno scorso il Nobel era andato ai due scopritori del primo pianeta extrasolare, Michel Mayor e Didier Queloz, e al cosmologo Jim Peebles. E poi perché si pensava che il premio sarebbe toccato alla prima foto di un buco nero, realizzata lo scorso anno.

Invece metà del premio di quest’anno (10 milioni di corone svedesi, poco meno di un milione di dollari) è andata a uno scienziato celebre e controverso, Roger Penrose, 89 anni, professore emerito a Oxford, per aver dimostrato che la formazione dei buchi neri è una diretta conseguenza della teoria della relatività generale. Mentre l’altra metà se la spartiranno due studiosi tedeschi: Reinhard Genzel (68 anni) del Max-Planck-Institut di Garching e dell’Università di California a Berkeley, e Andrea Ghez (55 anni), astrofisica dell’Università di California a Los Angeles.

A loro l’Accademia reale svedese delle scienze riconosce il merito di aver dimostrato l’esistenza, al centro della nostra Galassia – e presumibilmente anche delle altre galassie nell’Universo – di un buco nero di massa pari a quattro milioni di masse solari: una sorta di “motore centrale” capace di accelerare a velocità per noi inconcepibili le stelle circostanti – compreso il nostro Sole.

Dei tre premiati di quest’anno, Roger Penrose è venuto più volte a Trieste per seminari al Centro di fisica teorica e alla Sissa. La prima volta all’Ictp risale al lontano 1971, l’ultima al 2005 in occasione dei convegno per i 70 anni di Gian Carlo Ghirardi. E alla Sissa si ricordano le sue presenze nel 1992 e nel 2002, quando tenne l’annuale Sciama Lecture in memoria del suo collega Dennis Sciama, che per molti anni era stato direttore della sezione di astrofisica della Scuola internazionale superiore di studi avanzati.

Scienziato controcorrente, ammirato e contestato dai colleghi, Roger Penrose gode di una fama che va ben al di là dei buchi neri. Critico feroce e ironico della teoria dell’inflazione cosmica successiva al Big Bang e della teoria delle stringhe nella fisica delle particelle, negli anni più recenti Penrose ha sostenuto tesi eterodosse – osteggiate dai neuroscienziati – secondo le quali la coscienza potrebbe essere il prodotto di fenomeni quantistici ancora sconosciuti.

Sono i temi trattati in “La mente nuova dell’imperatore” (Rizzoli, 1992), il suo saggio più noto e provocatorio, a metà strada tra la frontiera del pensiero scientifico e le speculazioni della filosofia: il rapporto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, la “magia quantistica”, la freccia del tempo, la fisica della mente. Temi che ricorrono anche negli altri suoi libri, sempre ardui e impegnativi: “Il grande, il piccolo e la mente umana” (Cortina, 1998), “La strada che porta alla realtà” (Rizzoli, 2005) e il più recente “Numeri, teoremi & minotauri” (Rizzoli, 2017).

Assieme al figlio Lionel, Penrose si è cimentato anche in raffinati giochi matematici e soprattutto nelle geometrie impossibili, entrando in risonanza con il grande grafico Maurits Cornelis Escher, che utilizzò nelle sue litografie alcune delle creazioni di Penrose, come la scala che scende e che sale, entrata nell’immaginario collettivo.

Una curiosità sconosciuta ai più. Roger Penrose figura anche co-autore di un singolare romanzo di fantascienza spaziale e utopica del 1999, che racconta la storia dello sviluppo di un insediamento umano su Marte, per il quale fornì spunti e idee a Brian Aldiss, lo scrittore inglese di science fiction scomparso nel 2017. In Italia è stato pubblicato dalla collana mondadoriana Urania nel 2001 con il titolo “Marte, pianeta libero”.

Notazione finale. Con il Nobel appena assegnatole, Andrea Ghez diventa la quarta donna in 120 anni a ricevere il Nobel per la Fisica. Prima di lei ci sono state solo Marie Sklodowska Curie nel 1903, Maria Goeppert-Mayer nel 1963 e Donna Strickland nel 2018. Altre l’avrebbero meritato, come Lise Meitner per la fissione nucleare e Jocelyn Bell per la scoperta delle stelle pulsar. Ma l’essere donne congiurò contro di loro.—


 

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