Il post anti-Serracchiani del gip Nicoli finisce davanti al Csm
TRIESTE. Giorgio Nicoli si è scusato. Lo ha fatto attraverso lo stesso mezzo social nel quale è scivolato in un giudizio politico nei confronti di Debora Serracchiani. Ma non basta, a quanto pare. Delle sue parole molto critiche verso la presidente della Regione comparse in un post su Facebook, poi cancellato, si parlerà al Consiglio superiore della magistratura. A quanto risulta da fonti romane sarà il presidente della Corte di appello di Trieste Oliviero Drigani a inviare una relazione su quanto accaduto.
Nel giorno in cui dalla presidente non arrivano reazioni all'attacco subito da Nicoli, nemmeno sotto forma di dichiarazioni, a muoversi è l'ambiente giudiziario. Alla luce dei primi contatti del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini anche con il Pg di Trieste Dario Grohmann, Drigani dovrebbe appunto riferire al Csm sull'accaduto.
Un'azione, fa sapere il presidente della Corte di appello triestina, che rientra nei suoi compiti, e nei suoi poteri, di vigilanza e controllo, e che non è non escluso gli venga appunto richiesta in queste ore dall'organo di governo autonomo della magistratura. Una procedura istituzionale non straordinaria, dunque, ma che è conseguenza inevitabile rispetto a un'uscita che ha fatto clamore anche per la durezza dei termini usati dal giudice. «Questa presidente supponente e inconsistente lascerà dopo di sé il vuoto assoluto e credo che nessuno la rimpiangerà. Un errore della Storia e basta», le parole del magistrato nell'intervento pubblicato nel suo profilo Fb.
Non è evidentemente stato sufficiente né rimuovere il testo né scriverne un altro molto più lungo, un misto di spiegazioni e scuse: «Mi rendo conto di aver per un attimo sottovalutato il fatto che, ricoprendo il ruolo che ricopro, era meglio non scrivessi quelle righe per ragioni di opportunità». E ancora: «Sono da quattro anni presente su Fb e ho sempre evitato qualsiasi esternazione che potesse essere inopportuna in relazione al mio ruolo e soprattutto che potesse ferire, anche involontariamente, la sensibilità, anche solo politica, di chiunque. Mi dispiace se questo è stato il risultato del mio commento e chiedo scusa se da cittadino ho dimenticato per un attimo che le mie parole potevano essere lette come qualcosa di correlato, anche solo alla lontana, al mio ruolo».
Il giudice è poi ritornato su Fb con un altro paio di post. «Oggi è stata una giornata difficile - si legge nel primo, dedicato a Gustav Mahler - e vorrei concluderla con queste riflessioni che ho scritto qualche mese fa e nelle quali mi riconosco profondamente». Nel secondo post Nicoli fa pure un appello agli amici di Fb: «Qualunque cosa ritenete di scrivere sui fatti del mio post sui vostri post e in commenti a post di altri, potreste evitare di taggarmi e soprattutto non definirmi, se avete motivo di nominarmi, come se quel commento, che ho sbagliato scrivere, lo avessi scritto in nome del mio ruolo anziché quale semplice cittadino e utente di Facebook, tenendo presente quanto ho ritenuto di dover precisare ieri e a cui mi richiamo?».
Non manca un ulteriore mea culpa: «Grave o non grave è stato uno sbaglio... su questo non defletterò mai... non ho dubbi di aver sbagliato..poi quando uno sbaglia non è abilitato a valutare i propri errori ... non sono qualificato a giudicare il livello di gravità o non gravità dei miei errori, ma ho il dovere perentorio di riconoscerli (se mi sono accorto di averli fatti) e di fermarmi qui».
A commentare la vicenda è intanto anche il presidente della Giunta esecutiva sezionale dell’Associazione nazionale magistrati Riccardo Merluzzi. «Nella consapevolezza che il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero previsto dall'articolo 21 della Costituzione concerne anche i magistrati - osserva Merluzzi -, la Ges deve rilevare che le espressioni utilizzate, in un ambito tendenzialmente pubblico e rivolto a una platea indistinta di soggetti come quella dei social network, risultano contrarie alla sobrietà e all'equilibrio che deve caratterizzare ogni magistrato, ricordando che la credibilità della magistratura, guadagnata silenziosamente nell'esercizio quotidiano dell'attività giurisdizionale, rischia di essere intaccata da simili iniziative inopportune e gratuite».
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