Il Porto riapre ma Razeto accusa: «Danno d’immagine enorme»
Durissimo il giudizio del presidente Confindustria Trieste: "In pochi giorni è stato distrutto il lavoro di tanti anni. Il danno d’immagine subìto dal nostro porto è impressionante"
TRIESTE. In pochi giorni è stato distrutto il lavoro di tanti anni. Il danno d’immagine subìto dal nostro porto è impressionante. Complimenti ai responsabili di questa situazione».
È durissimo il giudizio del presidente degli Industriali Sergio Razeto sulle conseguenze della protesta dei lavoratori delle cooperative che ha portato alla paralisi dello scalo. Lavoratori che, a suo giudizio, hanno dimostrato di non avere senso di responsabilità.
«Bloccare l’attività per rivendicazioni come quelle messe sul piatto è stata una scelta gravissima e inaccettabile - commenta Razeto -. Un conto è il diritto di sciopero, un altro impedire il lavoro altrui. Vuoi fare una protesta? Vai sotto le finestre dei palazzi istituzionali, organizza un presidio e fatti sentire, ma non mettere a rischio la funzionalità del porto. Io ho sempre avuto il massimo rispetto e la massima comprensione per chi lavora ma, davvero, questa volta penso si sia andati oltre. Anche perchè, se andiamo ad analizzarle, le ragioni dell’agitazione lasciano molto perplessi».
L’impressione infatti, per il numero uno di Confindustria Trieste, è che gli artefici dello sciopero abbiano voluto tirare le corda non per avere legittime garanzie occupazionali, che peraltro già erano arrivate, bensì per ottenere privilegi anacronistici e antieconomici.
«Lo ribadisco, per me il lavoro è sacro e i lavoratori devono essere sostenuti in ogni modo - prosegue Razeto -. Ma il punto è che, questa volta, il sostegno nei loro confronti c’era stato, eccome. Per due volte è stata prospettata una soluzione (prima l’ingresso di 70 operatori nella Compagnia portuale di Monfalcone, poi l’assunzione di tutte le maestranze da parte dell’Ideal Service) e per due volte è stata rifiutata. Il vero intento era ripristinare una gestione monopolistica che, in un porto moderno, non è assolutamente attuabile. Acconsentire a quella richiesta fuori dal tempo, significa perdere competitività e, di conseguenza, lavoro. Gli armatori infatti non verranno più a Trieste, preferendo scali giudicati più affidabili e in grado di garantire tariffe più basse».
Di qui l’amarissima conclusione. «Personalmente vedo nero - conclude Razeto -. Il danno d’immagine è stato pesantissimo e potrà essere recuperato chissà tra quanti anni. Le navi perse, non torneranno tanto presto. Purtroppo ci siamo giocati non una, ma tante occasioni per far crescere il porto». (m.r.)
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