Il pm chiede condanne per oltre 33 anni

Le parti civili formulano i risarcimenti: più di 120mila euro a 12 bengalesi e 50mila alla Fiom
I carabinieri durante l’operazione di indagine relativa al caporalato in Fincantieri (foto Bonaventura)
I carabinieri durante l’operazione di indagine relativa al caporalato in Fincantieri (foto Bonaventura)

Richiesta la condanna per tutti gli imputati, dall’associazione a delinquere all’estorsione, alla minaccia, fino alla truffa ai danni dell’Inps. E dalle parti civili è giunta l’istanza di risarcimento: oltre 120mila euro per i 12 lavoratori bengalesi presentatisi nel procedimento e 50mila euro per la Fiom Cgil. Quella di ieri nell’ex sala Assise del Tribunale di Gorizia è stata la prima giornata dedicata alle requisitorie.

Il pubblico ministero Laura Collino, davanti al Collegio giudicante presieduto da Francesca Clocchiatti (a latere Nicola Russo e Gianfranco Rozze), ha presentato un’istanza di pena complessiva di 33 anni e 4 mesi, a fronte di 7 imputati. Quanto ai capi d’imputazione, il Pm ha escluso quello che vedeva come parte lesa Uddim Bashir, non ritenendo provati i fatti di reato durante il dibattimento.

Il processo sul caporalato nell’appalto di Fincantieri, in relazione allo sfruttamento dei lavoratori bengalesi, dopo la requisitoria del Pm durata un’ora e mezza, ha sancito istanze che la dicono chiara in fatto di responsabilità ai danni delle maestranze. Per Angelo Commentale e i figli Giuseppe e Pasquale la pena richiesta è stata di 6 anni e 4 mesi ciascuno. Per Anna De Simone, moglie di Angelo Commentale, un anno. Per l’operaio Amin Ruhul si parla di 6 anni, mentre per l’operaio Alessandro Rispoli 4 anni. Quanto a Miah Kabir, la pena formulata dal Pm è stata di 3 anni e 4 mesi.

Collino ha ritenuto sussistenti i fatti di pressione e violenza, ma anche di violazione dei diritti dei lavoratori. Durante la sua requisitoria, ha sostenuto che gli operai venivano minacciati: non dovevano rivolgersi ai sindacati, pena la perdita del posto. Ha evidenziato come le paghe fossero decisamente inferiori rispetto a quanto previsto dal contratto di lavoro nazionale, fino ad arrivare a non percepire alcunchè. Il “guadagno” delle imprese interessate nel procedimento non derivava solo dalle ore di lavoro non riconosciute, ma anche dai mancati contributi e trattenute fiscali.

Nelle buste paga, peraltro, ha aggiunto il Pm, risultava un numero di ore lavorate nettamente inferiore rispetto a quelle effettivamente svolte dagli operai, testimoniate dagli orari di entrata e uscita ai tornelli dello stabilimento di Panzano. Collino ha richiesto anche la condanna per truffa ai danni dell’Inps, poichè le imprese in questione avevano avuto accesso alla mobilità per i lavoratori, a fronte del sistema di apertura e chiusura di società facenti capo ai medesimi soggetti. Quindi è toccato ai legali delle parti civili, gli avvocati Alessandro Ceresi, difensore di uno dei bengalesi, e Manuela Tortora, che sostiene gli interessi di 10 lavoratori oltre a rappresentare la Fiom Cgil.

L’avvocato Ilaria Celledoni, inoltre, assiste un altro operaio bengalese. Su tutto è stata richiesta una «condanna di giustizia». I concetti espressi da Ceresi e Tortora stanno sostanzialmente in questi termini: «Siamo di fronte a un sistema di appalto volto al ribasso dei costi che finiscono inevitabilmente per ledere i diritti dei lavoratori. Ma è altrettanto vero che gli imputati hanno accettato questo “modus operandi” e ciò non li esime dalle loro responsabilità».

Veniamo ai risarcimenti: per i 12 lavoratori sono stati richiesti 10mila euro ciascuno, oltre al ristoro dei danni patrimoniali individuati, quantificabili dai 500 fino ai 1.500 euro pro-capite. Per la Fiom Cgil è stato richiesto un risarcimento di 50mila euro. L’avvocato Massimo Bergamasco, difensore di Miah Kabir, da parte sua, ha richiesto l’assoluzione per il proprio assistito, avendo rivestito un ruolo del tutto marginale. L’udienza è stata riaggiornata al 7 maggio, quando sarà data la parola ai difensori degli imputati.
 

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