"Il più doloroso stupore per il dialogo cancellato"

Pubblichiamo la lettera aperta scritta da Claudio Magris al vescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi
Monsignor Giampaolo Crepaldi
Monsignor Giampaolo Crepaldi
Monsignore, mi permetto di scriverLe per esprimerLe lo stupore e il dispiacere che ho provato venendo a conoscenza della soppressione della rubrica delle lettere nel giornale Vita Nuova, soppressione da Lei voluta e imposta nonostante le richieste di mantenerla avanzate da molti lettori del giornale stesso e dunque da molti fedeli della Sua e nostra diocesi.


Me ne sono stupito anche formalmente, perché l’articolo 8 della legge sulla stampa stabilisce che il direttore responsabile di un giornale è tenuto ad accogliere dichiarazioni e rettifiche di soggetti che si sentano eventualmente chiamati in causa.


Inoltre l’articolo 6 garantisce la totale autonomia del direttore da qualsiasi interferenza della proprietà o di istituzioni che stanno al di sopra di lui e che possono licenziarlo in ogni momento, sostituendolo con persone di loro maggiore fiducia, ma non hanno, fino a quel momento, alcuna voce in capitolo nella conduzione del giornale. Ricordo che, durante uno dei passaggi di proprietà del Piccolo, una persona che apparteneva alla famiglia dei nuovi proprietari chiese a Enzo Biagi, in quel momento a Trieste, che cosa poteva fare la proprietà. Niente, signora, rispose Biagi, solo pubblicare annunci mortuari a pagamento e licenziare il direttore.


Ma c’è uno stupore più doloroso di questi aspetti formali. Le lettere costituiscono una parte vitale nell’esistenza di un giornale, un legame fra il giornale e i lettori che si riconoscono in esso, che scelgono quel giornale piuttosto di altri per esprimere ciò che sta loro a cuore. Le lettere sono una palestra di discussione, di dialogo, anche di polemica; di incontro. In questo caso, è una comunità particolarmente rilevante che guarda a Vita Nuova come alla propria espressione, la comunità dei cattolici della nostra diocesi. La Chiesa è per eccellenza luogo di tutti, spazio della parola, di quella divina e di quella umana che cerca di accostarsi ad essa. Bloccare questo dialogo significa indebolire la realtà viva della comunità cattolica e della diocesi; è un gesto che, involontariamente ma oggettivamente, fomenta tutti quei banali e faziosi pregiudizi sull’autoritarismo e l’intolleranza della Chiesa; pregiudizi che talora trovano motivo in certi atteggiamenti di rappresentanti della Chiesa stessa o in qualche sua improvvida maniera di affrontarli, ma che spesso sono aggressivi stereotipi. Perché incrementarli?

Se sentirò un’altra volta l’urgenza di scriverLe pubblicamente, mi auguro di poterlo fare su Vita Nuova.


RingraziandoLa per l’attenzione, con osservanza

Claudio Magris

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