Il pericolo delle mine per i migranti sulla rotta balcanica: un morto e due feriti nei boschi
BELGRADO Morire a migliaia di chilometri da casa, dopo essere fuggiti dalle guerre o dalla fame, quando ormai ci si pensava al sicuro. Il tutto per colpa di ordigni nascosti nel terreno, eredità di altri conflitti, quelli balcanici degli Anni Novanta. È il destino toccato a un migrante, ucciso da una mina antiuomo nei boschi attorno al villaggio croato di Saborsko, vicino al confine con la Bosnia-Erzegovina, mentre altri compagni di viaggio - almeno due - sono rimasti feriti dopo essere finiti in uno dei campi minati che ancora infestano la Croazia, ma soprattutto la Bosnia. Alla lunga lista delle vittime locali delle mine va aggiunto così un migrante di cittadinanza sconosciuta, il cui decesso è stato confermato dalla polizia croata allertata da residenti di Saborsko. «Arrivati sul posto, abbiamo verificato la veridicità della denuncia», ha fatto sapere l’altra sera il ministero degli Interni croato, certificando il decesso del profugo saltato in aria «dopo aver messo il piede su una mina».
Poteva andare peggio. È poi emerso infatti che i migranti erano parte di un gruppo più folto, finito in un’area ancora non bonificata. Lo ha precisato la polizia croata, svelando di essere intervenuta nella zona e di aver verificato la presenza di molti altri migranti, una decina almeno, «entrati illegalmente in territorio croato». La polizia ha dovuto usare persino gli elicotteri, «per avvisare in inglese» dall’alto del pericolo in cui si erano cacciati e intimare loro «di rimanere nella posizione in cui si trovavano», per poi essere raggiunti da personale specializzato che li avrebbe condotti al sicuro.
L’operazione di salvataggio è durata svariate ore, hanno reso noto le autorità di Zagabria, dicendosi allarmate. Fin dal culmine della crisi migratoria e poi negli anni successivi, attivisti e organizzazioni internazionali avevano lanciato l’allarme sul pericolo rappresentato dalle mine antiuomo per i profughi, che tentano di proseguire il loro viaggio verso l’Europa più ricca su percorsi secondari, tra boschi e montagne, spesso senza sapere delle aree infestate dalle mine. Nel 2019, ad esempio, il Centro bosniaco per lo sminamento (Bhmac), in coordinamento con Ong locali e internazionali e la Croce Rossa, aveva distribuito migliaia di volantini per spargere la voce dell’esistenza di campi minati. Adesso bisogna ricominciare con campagne di sensibilizzazione sul tema, ha chiesto Zagabria, chiedendo che attivisti e organizzazioni internazionali si riattivino «per informare i migranti» del pericolo delle mine, ma anche dei rischi del passaggio irregolare della frontiera in inverno, e della presenza di fiumi impetuosi, dove tanti profughi sono annegati negli ultimi anni.
Le mine restano una minaccia serissima non solo per i migranti. Dal 1991 all’anno scorso, sono state più di 500 le vittime dei campi minati in Croazia, oltre duemila i feriti. In Bosnia i deceduti per le mine antiuomo sono stati quasi 700, senza contare più di 50 sminatori rimasti vittime. Ma ci vorrà ancora tempo. Secondo le ultime stime di Zagabria e Sarajevo, serviranno almeno altri 4 o 5 anni per completare la bonifica di tutto il territorio – circa mille chilometri quadrati in Bosnia, 290 in Croazia - “avvelenato” per più di trent’anni dalle mine. Sempre che arrivino i fondi necessari. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo