Il pensiero critico fuori moda viene messo in crisi dal virus
Il pensiero critico è in sofferenza. Sta diventando sempre più un pensiero binario, vero oppure falso, buono o cattivo, o sì o no, o da una parte o dall’altra, senza mediazioni o momenti di incontro. È un drastico rinculo verso un comportamento che alla fine non ha più nulla di critico perché non conosce il dubbio e l’esitazione. Come possiamo chiamarlo? Reattivo, reazionario, assolutistico, totalitario. La pandemia docet, ma questa binarietà, per usare un termine generoso, invade ogni aspetto delle nostre attuali vite. È quasi un atteggiamento da tifosi: o sei pro o sei contro.
Eppure ci eravamo illusi alle soglie del lockdown, nel senso che nei primi mesi di restrizioni non pochi di noi avevano creduto che la pausa forzata favorisse la riflessione e la responsabilità. Adesso quel bivio, che sembrava di riuscire a intravvedere, si è ridotto a un pertugio nel quale il pensiero critico riesce a infilarsi con grande fatica. Siamo sempre meno disposti a ragionare con calma. Pare che nessuno abbia più voglia di ascoltare. È una situazione difficile per ciascuno, in qualunque gradino della cosiddetta scala sociale appoggi i piedi.
Se entriamo un poco nel merito, ci accorgiamo che parole come libertà, verità, potere (per ricordarne solo alcune) stanno diventando dei feticci: bandiere fatte sventolare eccessivamente però vuote di contenuto. Una libertà sempre più a misura del piacere individuale, una verità sminuzzata in un ventaglio di opzioni assolutistiche, un potere che si scrive ormai con la maiuscola quasi fosse un continuo complotto ai nostri danni.
Ci chiediamo: chi si salva da questo contagio culturale? Molte tra le menti degli intellettuali fino a ieri tanto apprezzate, oggi destano perplessità perché stanno gridando le loro verità con rabbia e scarso spirito autocritico. A me pare che non sia questo il pensiero critico che abbiamo smarrito e di cui avremmo un gran bisogno. Ci occorrerebbero piuttosto parole pacate e pause di riflessione, che invece stanno diventando sempre più rare e quasi fuori luogo. Il pensiero critico, quando è in salute, non è mai un modo di pensare che attacca tutto e tutti facendone un sol fascio, un nemico unico da combattere e sterminare.
Al contrario, il pensiero critico dovrebbe avere a modello la ragionevolezza, un’etica minima che non sia mai rinchiudibile in se stessa, assimilabile a una verità assoluta. Per esempio, nessuno può negare che stiamo vivendo in una “società della sorveglianza”, che si dirama dalle potentissime multinazionali giù fino al controllo digitale di quasi ogni gesto quotidiano, tuttavia dentro tale orizzonte oppressivo stanno appunto le nostre piccole quotidianità, senza le quali quello stesso orizzonte non potrebbe esistere tranquillamente.
Se però ci limitassimo a difendere questi gesti quotidiani, rivendicando il diritto di pensare e di agire in una maniera completamente svincolata da ogni responsabilità, e chiamassimo ciò libertà individuale, avremmo disegnato attorno a noi un cerchio, senza possibilità di condivisione. Sarebbe, a mio parere, proprio la disfatta del pensiero critico e la vittoria del pensiero binario, ed è quello che mi pare stia accadendo attualmente un po’ dovunque.
Una folla di solitudini, ecco forse che cosa possiamo scorgere nelle piazze affollate di queste ultime settimane, al di là delle varie strumentalizzazioni: come se la realtà del collettivo si fosse disgregata e insieme paradossalmente mantenuta. Il filosofo Jean-Paul Sartre era stato a suo modo profeta di questo paradosso quando (nella Critica della ragione dialettica) aveva contrapposto il gruppo alla serie. Nelle nostre piazze accade che individualità seriali, separate e magari esterne tra loro, producano gruppi inconsapevoli. E il pensiero critico dovrebbe riuscire a riflettere su questa nostra capacità/incapacità di stare assieme che stiamo un po’ tutti vivendo e non solo nelle manifestazioni di piazza.
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