Il Pd va verso la scissione, Rosato guida i ribelli renziani
Il deputato chiama a raccolta moderati e civici e annuncia a breve la «separazione consensuale». Critiche e poche adesioni in Fvg. Ma c’è chi sta alla finestra
12/07/17 Roma, Matteo Renzi presenta il suo libro Avanti, perché l'Italia non si ferma. Nella foto Matteo Renzi e Ettore Rosato
TRIESTE La scissione renziana accelera in modo imprevisto nel dibattito interno al Partito democratico e le chiavi della macchina sono nelle mani di Ettore Rosato. Il deputato triestino presiede i Comitati d’azione civica voluti dal leader toscano per preparare quella struttura organizzativa pronta a coagularsi dopo la Leopolda. Proprio Rosato ha parlato ieri a nome dei suoi, annunciando in un’intervista a Repubblica l’avvicinamento alla «separazione consensuale». Una proposta che in Friuli Venezia Giulia si imbatte nella levata di scudi dell’intero stato maggiore democratico, sebbene nell’area centrista del partito più di qualcuno potrebbe rimanere alla finestra in attesa di sviluppi.
I rumors interni danno la divisione cosa ormai fatta, ma Rosato prende tempo pur accostando Pd e area renziana a «quelle coppie che le hanno provate tutte per stare assieme e proprio non ce la fanno». I critici parlano di voglia di rivincita dopo anni di frizioni, mentre i renziani ne fanno una questione politica, legata allo spostamento a sinistra dell’asse del partito, dopo l’affermazione di Nicola Zingaretti alla segreteria e il possibile ritorno a casa dei fuoriusciti di Leu. Rosato pensa al contrario ad ampliare la base del nuovo movimento con i reduci di Forza Italia tanto in Parlamento quanto nei territori.
Il vicepresidente della Camera parla di «operazione di popolo», ma al momento in Friuli Venezia Giulia i comitati sono animati da una settantina di persone e fra i big del partito si conta solo l’ex segretaria regionale Antonella Grim. Ai microfoni del Piccolo Rosato dichiara al proposito che «non c’è la volontà di spostare persone dal Pd ma di aprirsi a chi ne è fuori e al mondo civico. Il partito si sta spostando a sinistra e c’è un pezzo di elettorato che chiede di essere rappresentato e che non si può regalare alla destra. Non è questione di dirigenti ma di programmi e noi vogliamo accentuare la necessità di puntare su crescita, sviluppo e riformismo».
I vertici locali chiudono tuttavia la porta alla spaccatura. Per il segretario Cristiano Shaurli, «il Paese non chiede altre divisioni e correnti o magari un nuovo partito da 3-4 punti percentuali. Serve unità sui territori e a livello nazionale: scelte diverse non sarebbero comprese da iscritti ed elettorato». Se Shaurli viene da sinistra, il suo predecessore Salvatore Spitaleri è di area ex democristiana, ma la pensa allo stesso modo: «Una frattura del Pd non sarebbe per nulla consensuale e non aiuterebbe la creazione di un ampio fronte europeista e riformista. Il centrosinistra si avviterebbe in uno dei più classici harakiri». Un netto no arriva anche dalla deputata Debora Serracchiani: «Con Salvini che a Pontida carica i suoi all’assalto delle istituzioni, nel Pd si riparla di dividere. Una follia».
Pure i renziani di ferro non sembrano entusiasti. Diego Moretti fa «fatica a capire la scissione con questi modi e queste tempistiche: una mossa che disorienta anche i renziani perché si tornerebbe alla convivenza fra Ds e Margherita. Andrò alla Leopolda ma non cambio idea». Altrettanto renziano è il vicesegretario Paolo Coppola secondo cui «l’uscita è un errore». Ma per entrambi c’è un “però”, che potrebbe in futuro scavare qualche solco nell’area moderata. Moretti spera infatti che «non si pensi di spostare il Pd a sinistra, perché noi siamo forza di centrosinistra e tale dobbiamo rimanere. Rispetto ma nessuna nostalgia per le bandiere rosse». E Coppola chiede di «non tornare ai Ds perché non mi troverei a mio agio».
Fra i dem non mancano insomma potenziali appigli all’iniziativa renziana, i cui promotori sono convinti che più di qualche big nicchi in attesa di vedere come si metteranno le cose. Il fastidio manifestato riservatamente dal capogruppo Sergio Bolzonello per la nascita del governo giallorosso potrebbe ad esempio crescere e allargarsi se dalla logica emergenziale si passasse all’alleanza organica in vista dei prossimi turni di regionali. Malessere che si aggiungerebbe a quello insorto in tutto il Pd regionale per la mancata nomina di esponenti del Fvg nel nuovo esecutivo e che si sommerebbe ai timori dell’area ex dc per possibili slittamenti a sinistra.
I renziani assicurano di voler restare al governo per tutta la legislatura: un tempo capace di far maturare le contraddizioni. La triestina Grim, responsabile del Comitato triestino, chiarisce che «c’è occasione per rimodulare l’offerta politica perché l’alternativa ai sovranisti è troppo passiva e poco attenta alla creazione di ricchezza. Servono risposte riformiste anche nell’ambito della possibile trasformazione proporzionale: lavoriamo a una proposta attesa da pezzi importanti della società». Sua omologa a Udine è l’ex assessore alla Salute Maria Sandra Telesca, secondo cui «servono strade nuove come quelle perseguite dai governi di centrosinistra: vogliamo movimentare la società civile, perché molte persone fanno fatica a riconoscersi nel Pd ma seguono un’idea riformista capace di scardinare certi totem. Io per prima faccio fatica a incasellarmi: mi è stato chiesto di fare da riferimento e ho accettato». —
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