Il patto con Beppino: porteremo tua figlia in Friuli

Papà Englaro si era rivolto agli ex Psi Saro e Renzulli per porre fine a 17 anni di dolore
UDINE Un tavolo isolato al Ristorante Rochet di Zompitta. Attorno al tavolo Beppino Englaro col fratello Armando, il primario di Rianimazione Amato De Monte e due ex socialisti che non si amano già da qualche anno: il senatore Ferruccio Saro, confluito nel Pdl, e l'ex deputato Aldo Gabriele Renzulli, vera e propria autorità nazionale in campo sanitario dai tempi di Craxi, vicino invece al Pd. Eppure c'è una parola, che suona dolce ma drammatica, che riunisce dopo anni quelle strade: Eluana.


Papà Beppino beve un sorso di rosso. Gli piace il frico, che a Lecco non può mangiare. Ha lo sguardo che taglia in due. E quando entra Romana, la titolare del ristorante più famoso della zona e che per gli Englaro è una specie di seconda casa, non resiste. C'è un richiamo della sua terra che suona sempre più forte. Ed è lì, durante quella cena, che Beppino si apre con i due ex socialisti, come lui. «Io vorrei tanto che mia figlia tornasse a casa, qui in Friuli, per fare quello che tutti voi sapete» dice a voce bassa. «Io gliel'ho promesso e lotterò perché la sua voce sia ascoltata. Ma in questo dramma, in fondo a questo incubo, un po' di luce me la darebbe sapere che è venuta qui».


Ma al patto siglato fra socialisti nel nome della battaglia per il diritto alla cura, culminato nella presentazione pubblica del libro su Eluana col governatore Renzo Tondo, il suo braccio destro Alessandro Colautti e Saro, si salda un altro accordo di sangue. Quello fra carnici. Carnico Beppino, carnico suo fratello Armando, carnico il presidente Tondo e, in qualche modo, il primario De Monte che ha guidato l'equipe medica che ha accompagnato Eluana nel suo ultimo viaggio. Lui è originario di Artegna, questo è vero ma storicamente legato a Tolmezzo dove ebbe il suo esordio da primario, prima di essere trasferito a Udine.


E ancora carnico, sebbene a modo suo, l'avvocato Giuseppe Campeis, originario di Tolmezzo dove il museo porta ancora il nome della famiglia nobile che ha generato la più famosa dinastia di avvocati del Friuli Venezia Giulia. E carnico anche Aldo Gabriele Renzulli che, sebbene udinese di nascita, da sempre ha legato la sua carriera politica alla montagna friulana, prima con una tesi di laurea poi con un feudo di voti blindato. Nei congressi del Psi era l'area Renzulli a prevalere. Dietro la perseveranza del padre di Eluana c'è la «testardaggine del popolo carnico», ammette lo stesso Campeis e la convinzione che «ci possa essere un Paese dove esiste il rispetto delle regole e la divisione tra i poteri».


Socialisti dispersi che tornano a unirsi, nel segno di Loris Fortuna e di una tradizione laica del Friuli che sembrava morta, dunque. Ma anche un gruppo di politici a scavalco fra le due Repubbliche, capace di cucire un silenzioso e fermo accordo a distanza fra il governatore Tondo, l'unico che aveva i poteri, volendolo fare, per bloccare l'iter di ricovero di Eluana, anche se perfettamente legale, e il sindaco di Udine Furio Honsell, spirito laico, che non ha guardato in faccia nessuno e ha deciso che Udine doveva rispondere alla richiesta d'aiuto di papà Beppino. Anche a costo di vedere dimettere l'assessore Giovanni Barillari, benché estraneo come competenze alla questione.


A Tondo o a Honsell bastava una forzatura, magari contro la legge, per fermare tutto. Forzature come se ne vedono a centinaia in Friuli e in Italia. E come se ne sono viste in questa storia, fatta di dirigenti regionali che telefonano per fare pressioni, di segretari di assessori cui viene ordinato di dire no, di sindacalisti mossi da Roma che, da uffici pubblici, inviano lettere. Tutti comportamenti al vaglio dell'avvocato Campeis, che ha annunciato battaglia legale per chiedere i danni.


Ma non Tondo. Lui ha fatto il carnico davvero. Ha tenuto un rapporto costante con Beppino Englaro, è andato a Lecco a vedere Eluana, ha raccontato al premier Berlusconi la verità. E come lui Saro, che venerdì scorso è entrato alla «Quiete» guardato a vista dalla Digos e ha visto Eluana. Per raccontare a Berlusconi come stessero le cose: «Irriconoscibile».


Infine La casa di cura La Quiete. Che si è assunta da sola la responsabilità che la Clinica Città di Udine aveva schivato per paura del ministro Sacconi. E dove ha pesato molto il vice presidente Stefano Gasparin, cattolico ex Dc, braccio destro di Gianfranco Moretton ma del tutto autonomo in questa vicenda nel garantire che la Regione rispettasse la linea di Tondo: non interferenza. Prevalsa poi su quella dell'assessore Kosic. Nonostante le pressioni della Chiesa.
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