Il “patron” della Tergestea agli arresti

Valenzin ai domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta per aver distratto 800mila euro dalla casa di spedizioni
La sede della Tergestea
La sede della Tergestea

È finito agli arresti domiciliari Guido Valenzin, già proprietario della Tergestea, la storica casa di spedizioni un tempo leader nel Nord Adriatico, fallita il 29 dicembre dello scorso anno. È accusato dal pm Matteo Tripani di bancarotta fraudolenta e in particolare di aver distratto dai conti dell’azienda, quando era prossima al dissesto, la somma complessiva di oltre 800mila euro. Somma uscita dai conti correnti della Tergestea che sono stati rendicontati nella contabilità come “spese amministratore”. Il fatto è successo solo pochi giorni prima che scattassero le procedure di mobilità per i 27 dipendenti, che già da qualche mese non prendevano lo stipendio, a causa della chiusura della Tergestea.

Guido Valenzin
Guido Valenzin

Valenzin, che si è visto notificare un ordine di custodia cautelare emesso dal gip Luigi Dainotti su richiesta del pm titolare del fascicolo, sarà interrogato oggi dal giudice Dainotti alla presenza del difensore, l’avvocato Riccardo Seibold.

A segnalare i prelievi sospetti di Valenzin effettuati durante la crisi dell’azienda sono stati i finanzieri del Gruppo Trieste che hanno svolto un lavoro di analisi di fatto parallelo a quello del curatore, l’avvocato Paolo Simeon. I finanzieri hanno spulciato gli estratti conto e verificato alcuni dati contabili. E hanno scoperto che, oltre a incassare il proprio compenso, Valenzin aveva effettuato svariati prelievi. In tutto, appunto, oltre 800mila euro.

Il denaro, da quanto si è saputo, non è stato trovato. Secondo l’accusa Valenzin, quando ormai la barca faceva acqua ed era vicina al naufragio, ha insomma preso tutto quello che poteva. E poi ha fatto sparire i soldi.

Niente salvataggio, fallita la Tergestea
La sede della Tergestea

Le indagini coordinate dal pm Matteo Tripani, comunque, non si fermano. Ma, al contrario, continuano alla ricerca del “tesoretto” dell’ex patron della casa di spedizioni.

Una casa storica, specializzata nel commercio del caffé, ma finita decisamente male: l’ultimo capitolo porta la data dello scorso 29 dicembre quando il collegio del Tribunale fallimentare composto dai giudici Riccardo Merluzzi, Arturo Picciotto e Daniele Venier ha deciso il fallimento. La sentenza è stata emessa a fronte di un buco accertato dal curatore Paolo Simeon vicino ai 5 milioni di euro.

La società, ancora lo scorso luglio, aveva annunciato all’Autorità portuale di voler rinunciare alla metà del Magazzino 58 che aveva utilizzato fino ad allora e alla banchina antistante. Poi, erano emersi i conti in rosso e le banche che non anticipavano più. A chiedere il fallimento della Tergestea rivolgendosi al Tribunale, all’inizio di dicembre, due ditte di autotrasporto: la Caau di Udine e la Fioravanti. Erano stanche di accumulare crediti. La corsa al salvataggio si era sviluppata in una situazione sempre più difficile con una decina di dipendenti che avevano già dato le dimissioni. L’ultimo stipendio era stato pagato in maggio. Poi c’erano stati i clienti persi, il magazzino e la banchina del porto ceduti, la corrente elettrica della sede principale di via Canalpiccolo disattivata per morosità da luglio e i conti correnti bloccati, ma dopo i prelievi di Valenzin.

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