Il paradosso del modello Friuli ammirato ma non imitato

Dopo il 1976 è diventato l’esempio di come si ricostruisce e si fa prevenzione ma in quarant’anni l’Italia non ha saputo riprodurlo in zone ben più sismiche
Macerie ad Amatrice
Macerie ad Amatrice
TRIESTE I migliori in tutto da quel drammatico 1976. Nella ricostruzione, nella prevenzione, nell’emergenza. 
Una volta rimosse le macerie, nelle zone terremotate del Centro Italia, si alzerà un elicottero della Protezione civile del Friuli Venezia Giulia per i rilevi topografici, strumento essenziale per capire dove bisogna intervenire più urgentemente. «Un’azione del genere la possiamo fare solo noi», dice Debora Serracchiani. Solo noi, mentre le altre regioni, quelle sismiche, non solo non sono in grado di realizzare le mappature dall’alto, ma nemmeno ricostruiscono né fanno prevenzione come in Friuli Venezia Giulia, fa capire la presidente sollecitata a un commento su quarant’anni di poco o nulla in altre parti d’Italia, a rischio sismico pari se non superiore a quello della nostra regione. «Non so come si comportano altrove, ma so quello che facciamo noi. Sui nuovo come sui vecchi edifici».
 
 
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Perché è questione certo di ricostruzione, ma anche di prevenzione. Sulla prima il modello Friuli è universalmente conosciuto. «Ci hanno copiato solo parzialmente e non con gli stessi risultati», dice Ivano Benvenuti, sindaco di Gemona nel 1976, pensando a quanto accaduto non solo in Irpinia nel 1980, ma anche in Umbria e Marche nel 1997, in Molise nel 2002, in Abruzzo nel 2009, in Emilia Romagna nel 2002. Un modello che si è costruito partendo dalla delega che, con Giuseppe Zamberletti commissario straordinario, consentì alla Regione di legiferare in maniera specifica. Come accadde, subito dopo la scossa del 6 maggio, con le leggi 17, 33 e 53 per la gestione dell’emergenza, la 28 per il ripristino dell’efficienza produttiva delle aziende industriali, artigiane, commerciali e turistiche e la 35 per la ripresa dell’agricoltura. A seguire, nel 1977, la 30 per il recupero statico e funzionale degli edifici e la 63 per la ricostruzione delle zone colpite. 
Prima la «pulizia», come la chiama Benvenuti, e poi «l’inizio di un’opera di ricomposizione, pezzo per pezzo, pietra per pietra». Operazione snella perché proprio il quadro legislativo consentì di fare riferimento ai normali strumenti di pianificazione urbanistica. I sindaci furono allora protagonisti, «perché in grado di gestire le risorse», di un formidabile decennio di rinascita. A partire dalle fabbriche: il terremoto aveva cancellato 18mila posti di lavoro, ma nel 1978 i livelli occupazionali nell’area sinistrata superavano del 17% quelli precedenti al 6 maggio. Mentre a metà degli anni Ottanta, quando si gettarono le basi per una moderna ed efficiente struttura di protezione civile, il lavoro era sostanzialmente concluso. 
 
Ma il modello Friuli, pure in questo caso poco copiato, riguarda anche gli sforzi di prevenzione. Le immagine televisive che riportano il dramma di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, trasmesse in bianco e nero si confonderebbero facilmente con Gemona, Buja, Venzone. Le stesse case quarant’anni dopo la tragedia friulana, come se nulla di sapesse, come se il terremoto non fosse, se non probabile, almeno possibile. Ancora Benvenuti ricorda che nel 1988, lui consigliere, la Regione approvò una norma che consentiva ai cittadini di fare domanda di finanziamento pubblico per mettere in sicurezza le proprie abitazioni. «I contributi non erano altissimi - osserva l’ex sindaco -, ma a qualcosa quella legge servì». E servirono anche le iniziative dei successivi governi regionali. Quello in carica, nel triennio 2014-16, ha investito 17,8 milioni di finanziamenti della Protezione civile nazionale per interventi di adeguamento antisismico. «L’attenzione su questa materia è sempre alta e richiede un impegno costante e di lungo periodo», afferma l’assessore alle Infrastrutture Mariagrazia Santoro citando gli stanziamenti su scuole, ospedali, palestre, edifici privati. In assestamento di bilancio sono stati aggiunti 800mila euro a favore degli enti locali per svolgere indagini sul rischio sismico. 
 
«Dopo il 1976 - conferma Stefano Urbano, presidente dell’ordine degli ingegneri di Udine - si è ampliato il raggio della prevenzione. Con le nuove norme si sono imposti i paletti dell’antisismica anche in zone come Lignano e la Bassa friulana che non erano considerate a rischio e si è intervenuti sulle vecchie costruzioni al momento delle ristrutturazioni». Cultura tutta regionale della prevenzione, sottolinea pure Guglielmo Galasso, direttore tecnico della Protezione civile Fvg: «Il nostro territorio è sicuramente più protetto di altre aree del paese. Penso anche alla problematica del dissesto idrogeologico. Siamo la regione più piovosa d’Italia, eppure tragedie come quelle accadute a Genova, dove le precipitazioni sono senz’altro inferiori, non se ne vedono più».
 
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