Il pane non venduto dai negozianti in dono ai bisognosi
Donare ai poveri e ai bisognosi il pane invenduto. Una tonnellata al giorno, più o meno, secondo le stime dei panificatori. Questa l’iniziativa che il Comune concretizzerà a breve e che sarà delineata nei particolari, nell’ambito di un incontro ad hoc che l’assessore comunale per le Politiche sociali, Laura Famulari, terrà con i panificatori della città.
«In quella sede valuteremo tutti i dettagli tecnici dell’operazione che ha implicazioni di carattere fiscale e finanziario, ma siamo convinti come amministrazione di arrivare comunque al risultato che consisterà nel donare a chi versa in gravi difficoltà economiche il pane che altrimenti andrebbe buttato» afferma l’assessore.
A stimolare l’intervento del Comune è stato Angelo D’Adamo, consigliere comunale del Pd, che riveste anche il ruolo di presidente della Federconsumatori locale, con una mozione poi fatta propria dalla giunta, grazie alla volontà dell’assessore Famulari. «Ho scritto la mozione – spiega D’Adamo – perché la crisi economica sta obbligando un crescente numero di persone a ricorrere a espedienti per sopravvivere. Ne è la prova evidente la ricerca che costringe tante persone a cercare cibo nei bottini della spazzatura».
Il consigliere del Pd aggiunge: «Partendo dal presupposto che fortunatamente in città operano numerose realtà religiose e laiche che si impegnano costantemente per cercare di aiutare chi ha più bisogno, ho semplicemente messo assieme i vari elementi della situazione, proponendo di trovare un sistema legale e in linea con il dettato che disciplina tutti gli aspetti del settore alimentare. Ho trovato ancora una volta nell’assessore Famulari un interlocutore sensibile e competente – conclude D’Adamo - e il risultato è arrivato».
Adesso si tratta di trovare il sistema per raccogliere a fine giornata il pane fresco invenduto che, in base alla normativa in essere, non può essere rivenduto il giorno dopo e convogliarlo su quelle associazioni ed enti che poi lo potranno distribuire a coloro che non lo possono acquistare.
I panificatori si dichiarano entusiasti dell’iniziativa: «Era ora che si pensasse a questa soluzione – afferma il presidente dei panificatori di Trieste che aderiscono alla Confartigianato, Paolo Fontanot – perché in tempi di crisi non ci devono essere sprechi».
Fontanot accenna anche alla dimensione dell’invenduto delle panetterie triestine: «Attualmente sul territorio comunale operano all’incirca 140 punti vendita – continua – e mediamente l’invenduto va dai 5 ai 10 chili per ciascuno di essi. Si può perciò pensare che circa una tonnellata di pane al giorno potrebbe essere distribuita ai più bisognosi».
Fatto un rapido calcolo, considerando che con un chilo di pane si possono soddisfare famiglie di tre o quattro componenti, ecco che un migliaio di nuclei famigliari potrebbero vedere migliorata la qualità dei loro pasti. Attualmente il pane invenduto, proprio perché non può tornare sui banchi vendita il giorno successivo, finisce nei bottini.
«Qualcuno di noi panificatori – riprende Fontanot – ha trovato accordi con qualche contadino del circondario per barattare il pane del giorno dopo, che può andare benissimo per gli animali, con ortaggi o altro. Ma si tratta di soluzioni estemporanee e di piccola dimensione. Dovesse andare a regime, come auspichiamo, il nuovo meccanismo che andremo a definire con il Comune – conclude il presidente dei panificatori della Confartigianato – sarebbe molto meglio per tutti».
Trieste non è nuova a iniziative di questo tipo. Spesso si sono attuate forme di solidarietà di varia natura. Ci sono supermercati e negozi di generi alimentari che accettano dai clienti una sorta di donazione, che permette, a chi non ha sufficienti risorse finanziarie, di fare comunque la spesa. Frequente anche il riciclo dell’invenduto a favore dei soggetti che operano a favore dei poveri. Alla base di tutto c’è pure la volontà comune di evitare l’assalto dei contenitori di generi invenduti e dei prodotti che hanno superato la loro naturale scadenza da parte di chi è nell’impossibilità di comperare.
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