Il padre di Demenego, l’agente ucciso in Questura da Meran assolto: «Giudici, un giorno vi vergognerete»
TRIESTE «Colgo l’occasione per dire a questi Giudici che la vita è strana e la ruota gira per tutti. Sicuramente capiterà che nell’arco della vostra vita serena voi o qualche vostro famigliare chieda l’intervento della Polizia, e quando vi troverete davanti un ragazzo di trent’anni che vi salverà la vita, che vi darà conforto, che vi farà sentire al sicuro, allora in quel momento vi auguro che vi torni in mente la foto di mio figlio e che la vergogna vi pervada per il resto dei vostri giorni».
Sono parole dure, che esprimono tutta la sofferenza di un genitore che ha visto morire il proprio figlio poco più che ventenne in una tragedia per molti versi assurda.
Da quel maledetto 4 ottobre 2019, il giorno in cui Matteo Demenego e Pierluigi Rotta sono stati uccisi a colpi di pistola nella Questura di Trieste da Alejandro Augusto Stephan Meran, la vita di Fabio Demenego, papà di Matteo, è cambiata per sempre.
E adesso, la sentenza della Cassazione che martedì ha confermato l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere di Meran rappresenta un epilogo troppo difficile da accettare.
A pochi giorni dal verdetto della Suprema Corte che ha chiuso il caso dal punto di vista giudiziario, Fabio Demenego ha rotto il silenzio e ha voluto esprimere via social il suo stato d’animo, in un post che ha subito raccolto numerosi commenti e attestati di solidarietà.
«Mio figlio Matteo – scrive Demenego –, ucciso in servizio, dentro una Questura, mentre soccorreva il collega Pierluigi. Nascosto dietro la porta c’era l’assassino che “incapace di intendere e volere” ha saputo attendere e a mo’ di esecuzione l’ha ucciso. Che “incapace di intendere e di volere” ha sparato con due pistole, che ha evitato di sparare alla persona che si è trovato davanti fuori dalla Questura e che si è arreso chiedendo un’ambulanza».
«Non so che perizia abbia fatto il dottor Ferracuti – aggiunge il papà di Matteo alludendo alla perizia che ha stabilito l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato –, che forse spaventato da un suo atteggiamento aggressivo ha determinato “questo è matto”».
«Questa è la giustizia in Italia – conclude Demenego –. Non mi sento più rappresentato da questo paese per il quale Matteo ha dato la vita e nessuno ha saputo dargli giustizia. Un pensiero per tutti gli Agenti di Polizia. In campana ragazzi».
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