Il padre: «Bruno aveva solo un sogno fin da piccolo, quello di volare»

TRIESTE
Sulla parete del salotto della casa di via dell’Eremo 12/1 non ci sono quadri ma diplomi, attestati, benemerenze con il nome del figlio. Sembra quasi un sacrario quel muro ingentilito dalla carta da parati. Li guarda uno ad uno quei fogli sottovetro il padre di Bruno Cavezzana, il pilota dell’Aeronautica militare morto ieri pomeriggio nell’incidente del C-130 in Toscana.


Li guarda e stringe i denti in una morsa di dolore profondo e intimo. Silvano Cavezzana ha gli occhi lucidi ma non piange. Non ci riesce. «Il sogno di Bruno - sussurra - è sempre stato quello del volo, degli aerei, del cielo. Fin da piccolo il mio Bruno voleva pilotare. Gli dicevo che sarebbe stato un traguardo difficile da raggiungere. Ma lui non ha mai mollato, non ha mai abbandonato il suo desiderio. Ha preso i brevetti a Gorizia e Lecce alla scuola dell’Aeronautica, era arrivato secondo su 500 candidati. Aveva vent’anni, era l’11 gennaio, quando ha indossato per la prima volta la divisa dell’Aeronautica. Era la persona più felice di questo mondo. Questo era Bruno e mi ha reso orgoglioso essere suo padre». Mentre parla con un filo di voce lo ascoltano alcuni ufficiali dei Carabinieri e dell’Aeronautica e il cappellano militare gli stringe le mani in segno di partecipazione.


L’ufficiale dell’Aeronautica è un colonnello ed è arrivato da Rivolto. Sono in quella casa per assolvere a un compito difficile. Quello di comunicare a due genitori che il figlio è morto. Tutti ascoltano le sue parole. Papà Silvano ricorda la voce di Bruno. Ricorda episodi quotidiani di un figlio unico che vive lontano e regolarmente parla con i genitori. «Ci telefonava spesso da Pisa. Stamattina è stata l’ultima volta che l’ho sentito», si ferma di colpo quando il significato della frase «l’ultima volta» rimbalza drammaticamente nella sua mente. Pensa alla nipotina di 15 mesi. Poi ancora si accavallano nella mente di Silvano Cavezzana i ricordi del suo Bruno. «Ci chiamava e poi appoggiava alla bambina il telefono vicino alla testa. E noi, nonni, sentivamo i suoi gridolini. Ci faceva felici...».


Il padre del pilota parla del matrimonio con una ragazza di Modena. «Si era sposato nel 2000 e aveva vissuto in quella città per qualche anno, poi si era trasferito a Pisa, perché era diventato il comandante del Gruppo e non poteva stare troppo lontano dalla base. Sabrina l’aveva conosciuta a Modena a una festa di amici». Ricorda le missioni di pace, i voli nei posti più lontani e pericolosi al mondo.


«Poco tempo fa Bruno era tornato dall’Afghanistan. C’era stato un mese e mezzo in quella terra. Ma era stato anche in Africa e poi pure nel Golfo. Aveva volato in Iraq, sia nella prima che nella seconda guerra. Non si era mai fermato nella sua passione». Non è facile diventare maggiore dell’Aeronautica a quarant’anni per un ufficiale che non proviene dall’Accademia. Lo ripete: «Bruno mi ha reso orgoglioso». Giovanna, la mamma del pilota morto è attonita e guarda tutte le divise entrate nella sua casa. I suoi ricordi partono da molto lontano, dai tempi del Liceo Galilei e dei suoi successi sportivi. «Bruno era un campione di atletica. Aveva fatto moltissime gare ai tempi del liceo». Poi non riesce ad aggiungere altro.


Abbraccia una parente che alla notizia della disgrazia si è precipitata nell’appartamento di via dell’Eremo. Fuori si è formato un capannello di vicini. «L’ultima volta l’ho visto per Pasqua. Arrivava qui per le festività. Era un ragazzo serio. Era nato qui e l’ho conosciuto fin da piccolo. Poveri genitori. Quando era entrato in Aeronautica il padre era felice e lo diceva a ogni persona che incontrava» commenta un vicino della famiglia Cavezzana. Una signora scoppia in lacrime quando viene a sapere quello che è successo. «Bruno, non può essere vero...».
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