Il nodo quarantene: Nova Gorica congela il rilascio dei certificati per le visite ai parenti

Tra venerdì e lunedì chiesti duecento permessi: quaranta dall’Italia L’ex assessore Mara Cernic: «Vedo mia sorella attraverso la rete» 
Controlli al confine italo-sloveno
Controlli al confine italo-sloveno

GORIZIA La scorsa settimana l’improvvisa notizia da parte del Governo di Lubiana dell’apertura dei valichi anche alle visite dei parenti più stretti aveva dato alle tante famiglie separate dal confine italo-sloveno la speranza di potersi incontrare di nuovo; sabato era però arrivata la doccia fredda. Se da un lato la Slovenia aveva allentato le maglie, dall’altro - in base al Decreto Conte - chi fosse entrato in Italia (o uscito e poi rientrato) avrebbe dovuto osservare una quarantena fiduciaria di 14 giorni e questo aveva bloccato le visite. La mancanza di omogeneità normativa aveva quindi, di fatto, reso inutile il provvedimento di Lubiana, il cui governo aveva accolto in maniera più che tempestiva le richieste giunte dal territorio.



A rendere ulteriormente più complicate le cose c’era stata poi la questione dei certificati rilasciati da una non meglio identificata “Comunità locale” che nei fatti era il Comune di Nova Gorica dove, tra venerdì e lunedì, sono state inoltrate circa duecento domande, una quarantina delle quali pervenute dall’Italia. Peccato che l’amministrazione locale slovena non avesse competenza per i cittadini d’oltreconfine. E infatti, in attesa dell’annunciato chiarimento governativo, lunedì il Comune di Nova Gorica ha sospeso in via cautelativa il rilascio dei permessi.

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I valichi di via San Gabriele a Gorizia, di Vencò nel Collio e di Predil nel Tarvisiano, come quelli autostradali di Sant’Andrea a Gorizia e Fernetti a Trieste, per il momento restano aperti per i soli cittadini frontalieri che possono dimostrare di avere un rapporto di lavoro nell’altro Stato o che possiedono un terreno coltivabile.

Tra quanti dovranno attendere ancora un po’ per andare a trovare un parente dall’altro lato della frontiera c’è anche Mara Cernic. Come vicepresidente della defunta Provincia di Gorizia, Cernic si era a lungo battuta per l’integrazione transfrontaliera e mai avrebbe pensato di rivedere delle barriere tra Italia e Slovenia. «Quando hanno ritirato sù questo confine - osserva - non c’era la percezione del fatto che ormai a Gorizia e Nova Gorica le persone vivono le due città come uno spazio unico. Ci sono sloveni che abitano di qui e italiani che vivono di lì. Ho visto famiglie chiudere in tutta fretta gli appartamenti e trasferirsi dai parenti dall’altra parte. I miei figli fanno attività extrascolastiche un po’ a Gorizia e un po’ a Nova Gorica. Mia sorella abita a Rozna Dolina, dopo il cimitero ebraico: appena qualche centinaio di metri dal valico di Casa Rossa, ma la posso incontrare solo andando al piazzale della Transalpina. Lì ti vedi e ti parli, ma sei sempre separata da una rete; è come se fossimo al parlatoio di un carcere. Così viene calpestato il valore affettivo delle relazioni umane. Qui più che altrove».

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Sulla chiusura del confine da parte della Slovenia Cernic riconosce che i motivi che hanno portato Lubiana al provvedimento erano validi, ma dice anche che ora deve essere avviata una riflessione. «Il Friuli Venezia Giulia è stato un territorio colpito marginalmente dal contagio rispetto ad altri e la Slovenia ha avuto la metà dei casi della nostra regione. Di questo si dovrebbe tenere conto. I provvedimenti andrebbero calibrati sulle singole realtà».

Ecco allora che oggi dovrebbe arrivare l’atteso chiarimento con un’interpretazione autentica della norma. Perché andare da Gorizia a Nova Gorica per trovare un fratello, un genitore o un figlio che vive a qualche centinaio di metri dal confine non può certo essere considerato allo stesso modo di un viaggio intercontinentale. —

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