«Il museo ferroviario merita uno spazio in Porto Vecchio»
di Gabriella Ziani
Potrà sembrare un’operazione costosa, ma non bisogna rinunciare. Pur di non fallire nell’intento, meglio unire le forze in un progetto di valenza collettiva. L’archeologia industriale è un patrimonio, che in Europa “tira” e attira. Specialmente a Trieste, se la città non viene lasciata sola ma integra la propria ricchezza con altri siti della regione e la mette redditiziamente a frutto, le cose antiche possono diventare nuovissime. Anche il Museo ferroviario di Campo Marzio, oggi gestito dai volontari del Dopolavoro ferroviario, che hanno alzato le braccia in segno di resa di fronte alla previsione di un affitto triplicato nei locali altrettanto storici della ex Stazione Transalpina, potrebbe e dovrebbe avere un grande futuro.
È l’opinione del soprintendente ai Beni storici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia, Luca Caburlotto: «Questa stazione, questo Museo ferroviario sono un tutt’uno con la storia di Porto vecchio, e in Porto vecchio, anziché inserire musei “leggeri” e fragili, sarebbe molto meglio trasferire il Ferroviario, perché è lì, in quel punto di traffici e trasporti, che si crea e mantiene la connessione tra archeologia industriale e sviluppo turistico sui modelli già attivati non solo nel Nord Europa, ma anche in Veneto».
I costi? «Per quanto costi, la redditività è assicurata» dice il soprintendente, perché i vecchi treni «potrebbero essere rimessi in circolazione, arrivare fino a Monfalcone, e perfino (con buona volontà) entrare in relazioni transfrontaliere».
Ma non si può chiedere a una città da sola, aggiunge Caburlotto, di farsi carico non solo della gestione e rivitalizzazione di un così ricco patrimonio, ma perfino di rimettere in moto il museo, a fini turistici. «Un progetto che non può essere lasciato unicamente nelle mani di Comune e Provincia. La Soprintendenza - aggiunge - potrebbe essere molto interessata a esaminare i contenuti del Museo e a porre un vincolo storico, e potrei io stesso, come responsabile del patrimonio di archeologia industriale, chiedere dei fondi allo Stato per contribuire alla manutenzione. Trascuriamo qualche quadro, e ci occupiamo delle antiche locomotive. Perché no».
Una volta aperto, il discorso si allarga a progetti di più largo respiro, che proprio per questo dovrebbero essere inseriti in un contesto di intenti e finanziamenti collegiali. Caburlotto sogna un “Parco dell’archeologia industriale” di valenza regionale, che potrebbe essere fortemente attrattivo per un turismo che altrove è già solleticato e sollecitato, e dà ottime risposte, consentendo così anche gli introiti per mantenere in vita il patrimonio documentario. «Bisogna interessarsi di questi beni prima che sia troppo tardi», avverte.
E dopo il tormentoso, accidentato, lungo viaggio in treno verso Vienna del sindaco Cosolini, a bella posta testimoniato mettendo a confronto i frenetici e veloci collegamenti dell’800, Caburlotto legge nell’evento un’indicazione forte sulla strada da seguire: «Chi meglio di Trieste può raccontare il valore delle ferrovie, e mostrare la città come autentico luogo di scambio: quello di ieri serve a capire e costruire una prospettiva futura».
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