Il mondo dell'arte dà l'addio a Desiderio Svara
TRIESTE Una pittura delicata, agile, calibrata con grande sensibilità, intrisa di luce, rappresentava il lessico pittorico di Desiderio Svara, scomparso di recente a Trieste, lasciando un grande vuoto nel figlio Dario e negli amici e colleghi artisti, perchè era tra i pochi appartenenti alla comunità slovena a frequentare assiduamente tutti gli eventi triestini. ”Una persona spiritualmente ricca, socievole, benvoluta da tutti” ricorda l’amica Jasna Merkù, pittrice versatile e critico d’arte.
Nato a San Giuseppe della Chiusa nel ’34, Desiderio aveva scoperto l’arte frequentando, con la sua manina stretta in quella della madre, la chiesa parrocchiale del suo paese e ammirando in particolare, curioso e stupito, l’affresco settecentesco di Pasqualis de Perriello, intitolato “La buona morte”, mentre altra fonte d’ispirazione erano per lui la visione del golfo di Trieste, il mare immenso e l’orizzonte infinito che coglieva dalle pendici di San Dorligo.
Figlio di una famiglia di modesta tradizione contadino-operaia, non aveva potuto studiare pittura da ragazzino perchè a 14 anni, per sopravvivere in tempi di guerra, era dovuto andare a lavorare in falegnameria e poi, maggiorenne, come chimico all’Aquila. Ma la passione per l’arte era fortissima e così frequentava anche i corsi del pittore Riccardo Tosti, allievo del Wostry, acquisendo abilità nel figurativo, e nel ’60 studiava con il pittore Renato Brill, mentre il critico e artista Milko Bambic e il pittore Bogdan Grom lo spronavano. Tant’è che nel ’66 Desiderio si diploma privatamente al Liceo artistico di Venezia.
Negli anni ‘70 partecipa al neonato Gruppo U con Franco Vecchiet, Franko Volk, Boris Zulian, Robert Kozman, Edi Žerjal ed è poi tra i fondatori del Circolo Operatori visuali, che riuniva una quarantina di artisti sloveni di Trieste, di cui fu il primo presidente. Il 1985 rappresenta una tappa molto importante con il trasferimento per lavoro a Parigi e nelle Antille per 5 anni. Lì rivive l’esperienza di Gauguin e i suoi colori si fanno più vivaci. Gentile, umano, grande e appassionato lavoratore, cui l’amico Alessio Zerjal ha dedicato un esaustivo video per l’ottantesimo compleanno, sperimenta diversi filoni: tra il ‘50 e il ‘60 approccia il figurativo attraverso una cromia classica postimpressionista.
Dal ‘70 al ‘95 crea un personale astrattismo geometrico che, partendo dal figurativo, sintetizza forme e colori fino a pervenire all’astrattismo geometrico puro; dal ’95 al 2008 aderisce all’astrattismo lirico, in cui emergono luce e spiritualità. E poi i simboli, dal Tao alle figure geometriche, e i paesaggi dell’anima, visioni che scaturiscono dalla sua ricca interiorità mentre il dipingere geometrie astratte molto rigorose lo aiutano a rimettere ordine in se stesso nei momenti di crisi. Protagonista sempre la luce perchè – aveva scritto - solo questa è fonte di verità e del bene.
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