Il mondo della pesca in ginocchio: «Si arrenderà l’80% delle barche»

Fra regole anti Covid, restrizioni alla vendita diretta e ristori “insufficienti”, il comparto lancia l’allarme
Una barca di pescatori al lavoro nel golfo di Trieste in un’immagine d’archivio. (Foto Massimo Silvano)
Una barca di pescatori al lavoro nel golfo di Trieste in un’immagine d’archivio. (Foto Massimo Silvano)

TRIESTE «Credo che andando avanti così, l’80% delle barche di Trieste impegnato nella pesca cesserà ogni attività. E, in qualche modo, molti lavoratori si troveranno a vivere un altro tipo di “terapia intensiva”». Dall’altro capo del telefono Guido Doz, presidente della Federazione italiana maricoltori, non riesce a trasmettere alcuna sensazione di ottimismo se gli si chiede di tracciare lo stato di salute del ramo ittico in periodo Covid. Un settore già danneggiato in passato da restrizioni comunitarie e che sta ora subendo il colpo di grazia per via del reticolato di limiti previsti a causa della pandemia.

«Negli ultimi due anni circa cento persone hanno perso il lavoro. Ed entro pochi mesi, a Trieste, delle sette cooperative che c’erano una volta, ne resteranno solo due – spiega Doz, pescatore da tutta la vita –. Dal governo, oltre a un aiuto irrisorio che si tradurrà in 950 euro per noi pescatori, è arrivata anche una batosta economica col decreto Sviluppo di agosto, che ha aumentato il canone demaniale marittimo minimo da 360 euro a 2.500 euro l’anno. Sarà introdotto a partire dal 2021. E costringerà alla fame altre famiglie». La volontà dei lavoratori è di scendere a Roma per far sentire la propria voce e, attraverso l’aiuto delle associazioni di categoria, premere affinché il comparto non venga lasciato collassare. Oltre a fondi più corposi per riuscire a sopravvivere alla crisi, i pescatori chiedono però che vengano anche eliminate norme obsolete, regole che oggi più che mai ostacolano una vera ripresa del fatturato.

«In questo periodo potremmo ricavare qualcosa dalla vendita diretta, ma una norma ci impone di immettere il 70% di quanto viene pescato nel mercato. Significa che se si pescano 10 chili di prodotto, se ne possono vendere direttamente sul molo soltanto tre. Con i ristoranti chiusi e le pescherie che lavorano al 30%, in tanti speravano di trovare un po’ di sollievo con la vendita diretta. Ma si sono scontrati con questo ostacolo». Diversi pescatori ormai certi di aver toccato il fondo hanno cominciato a vendere il pesce abusivamente. «Noi siamo i primi a scoraggiare l’illegalità. Ma alcuni ragazzi, peraltro già sanzionati, si trovano nella condizione di non avere ormai più nulla da perdere». I pescatori di Trieste sono al momento in attesa di un fondo regionale dal valore di 200 mila euro che dovrebbe dare un po’ di sollievo a coloro che sono stati completamente fermi a causa dell’emergenza sanitaria. Ma sono comunque briciole rispetto alla prospettiva di un futuro sempre più buio, come emerge dalle parole del vice presidente di FedAgriPesca Fvg e presidente della cooperativa pescatori San Vito di Marano, Riccardo Milocco. «Siamo nella stagione in cui c’è molta varietà di pesce, ma il nostro sbocco commerciale principale, i ristoranti, sono di nuovo chiusi. La situazione rischia di essere peggiore della primavera scorsa, anche perché ci stiamo avvicinando al Natale, periodo in cui abitualmente realizziamo i nostri maggiori profitti».

Sulla stessa linea il presidente dell’Organizzazione produttori cooperativa pescatori di Grado, Toni Santopolo, secondo cui la situazione si sta aggravando anche per il tipo di pesce pescato in questo periodo: «Se in primavera si pescavano specie che era possibile conservare o trasformare, come le seppie, adesso ci troviamo con pesce pregiato che viene consumato abitualmente fresco, come i branzini o le orate, ma che – conclude – nessuno vuole acquistare, anche a prezzi ribassati». —


 

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