Il mobbing colpisce di più le commesse
L’indagine della Regione. Il 62,2% delle denunce arrivano dalle donne
di Elisa Coloni
TRIESTE Improvvisi demansionamenti, abusi psicologici da parte dei capi, vessazioni, maldicenze, umiliazioni: tra la metà del 2007 e la fine del 2009, 484 lavoratori del Friuli Venezia Giulia hanno dichiarato di aver subito tutto questo. In poche parole: di essere stati "mobbizzati". L'identikit di chi subisce soprusi sul posto di lavoro? Donna, quarantenne, impiegata nel terziario, quindi nei servizi o nel commercio. La componente femminile, infatti, è in netta maggioranza: le donne rappresentano il 62,2% dei casi. Prevalgono inoltre le segnalazioni da parte dei lavoratori del terziario (servizi e commercio) e, considerando le fasce d'età, quelle dei quarantenni, che rappresentano il 40%. Sono questi alcuni dei risultati del monitoraggio sul mobbing effettuato dall'assessorato regionale al Lavoro e pari opportunità e dall'Agenzia regionale del lavoro. «Uno screening - spiega l'assessore competente Angela Brandi - necessario e previsto dalla legge regionale 7 del 2005, che regolamenta la materia».
A raccogliere le denunce sono state le cinque strutture di ascolto e monitoraggio sul mobbing presenti in regione: i team di esperti (psicologi, avvocati, medici), dopo un'attenta analisi, hanno però riconosciuto come «possibili situazioni di mobbing» solo una parte delle 484 denunce registrate, ovvero 171, il 35,3%. Negli altri casi, il disagio dei lavoratori è certo riconducibile a situazioni problematiche, ma che tuttavia, come emerge dal rapporto, «non possono essere considerate mobbizzanti». Le vittime più frequenti sono, come si diceva, le donne e i lavoratori del terziario, indipendentemente dalla dimensione dell'organizzazione aziendale in cui sono inseriti. Si rivolgono ai punto di ascolto dipendenti impiegati a tempo pieno (che nella maggior parte dei casi non lavorano a turni), con un'anzianità di servizio nella stessa impresa in cui hanno subito un'azione vessatoria superiore ai cinque anni. Solo in pochi casi il disagio è conseguenza di una richiesta avanzata dal lavoratore all'azienda; quando ciò accade prevalgono comunque, sia per le donne che per gli uomini, richieste connesse alla flessibilità di orario, seguite, per la componente femminile, dalla richiesta di cambiamento contrattuale, mentre per gli uomini di spostamento di reparto o di un aumento di stipendio.
L'analisi dei dati ha messo in luce come il disagio percepito dal lavoratore si sia manifestato in alcuni casi al rientro da assenze prolungate che tendono a coincidere con i congedi parentali (solo per la componente femminile) e, in misura più consistente e traversale rispetto al genere, in seguito a malattia o infortunio. Tra gli episodi che vengono percepiti dal dipendente come cause del peggioramento delle proprie condizioni di lavoro, prevale il cambiamento del direttore responsabile (di settore, ufficio o reparto).
Emerge poi che le principali azioni vessatorie denunciate sono, nell'ordine, le umiliazioni verbali, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti, lo svuotamento delle mansioni, la marginalizzazione dall'attività lavorativa, la prolungata attribuzione di compiti esorbitanti, l'impedimento sistematico all'accesso alle notizie utili per lo svolgimento delle proprie mansioni e le eccessive forme di controllo. Con minore frequenza sono stati rilevati casi di mancata assegnazione dei compiti lavorativi, ripetuti trasferimenti, l'inadeguatezza delle informazioni inerenti l'attività lavorativa, l'esclusione del lavoratore dalla formazione e la mancata assegnazione degli strumenti di lavoro.
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