Il ministero boccia per la seconda volta l’abbattimento della Sala Tripcovich
TRIESTE. «È giunto il momento di prendere l’avvocato: loro hanno vinto la prima battaglia, ma adesso incomincia la guerra». Queste le parole lapidarie del sindaco Roberto Dipiazza, dopo il secondo diniego da parte del ministero dei Beni e delle Attività culturali all’abbattimento della sala Tripcovich. Il primo cittadino ha deciso questa volta di intraprendere le vie più dure: dopo un ricorso amministrativo “soft”, il prossimo passo sarà invece un ricorso al Tar.
Risponderà così dunque alla Direzione generale che ha cassato il progetto di demolizione dell’edificio proposto per valorizzare l’ingresso alla città e all’antico scalo e riportare la piazza al suo assetto ottocentesco. Il Mibact questa volta ha ritenuto “inammissibile” e “improcedibile” il ricorso amministrativo avviato dal Comune al primo niet dello scorso dicembre. La motivazione riguarda innanzitutto una questione di forma, spiegano gli uffici romani: il primo parere dato sulla questione rientrava in una comunicazione tra lo stesso Mibact e la Soprintendenza.
E quindi non poteva essere un atto impugnabile da enti esterni al ministero. Sul contenuto, poi, gli uffici romani ribadiscono ciò che era stato già detto. Ovvero che, al fine della demolizione, la rimozione del vincolo, può avvenire «d’ufficio, su richiesta dei proprietari, possessori o detentori interessati», ma solo «in presenza di elementi di fatto sopravvenuti ovvero precedentemente non conosciuti o non valutati». Per il Mibact tutti gli elementi riguardanti la trasformazione del teatro erano già stati valutati nel 2006, quando era stato posto il vincolo.
Viene inoltre sottolineato come il Comune debba garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di proprietà. Non ultimo si specifica che «non è condivisibile il parere espresso dalla Soprintendenza territoriale competente» – che invece da sempre si è dimostrata favorevole all’abbattimento a patto che la demolizione avvenisse nell’ambito della riqualificazione della piazza verso Porto vecchio –, che si è pronunciata sulla base di argomentazioni in contrasto con le motivazioni del provvedimento di tutela dell’edificio.
Dal canto suo il Municipio, attraverso un fascicolo con uno studio approfondito di una decina di pagine in mano a Enrico Conte, direttore dei Lavori pubblici, e inviato lo scorso gennaio, ha cercato di spiegare come non sia la Sala Tripcovich a essere cambiata ma il paesaggio urbano circostante. E lo sarà ancora di più con il progetto di riqualificazione da 2 milioni di euro dell’area di largo Città di Santos, che sarà completamente rivisitata per fare spazio all’ingresso monumentale di Porto vecchio. Nel documento era stata avanzata anche una richiesta di incontro, a cui però non è stata data risposta. «Ci sono giochi della politica che mi hanno infastidito – commenta ancora Dipiazza –. Se mi chiederanno qualcosa da Roma per altro, domanderò loro di farmi per la prima volta un piccolo favore…. » .
Intanto, oltre al ricorso al Tar, l’assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi propone comunque di andare in visita a Roma – quando l’emergenza coronavirus sarò rientrata – per «spiegare e mostrare de visu la realtà che è cambiata e che dalle carte forse non si evince».
Il parere con il ministero, lo ricordiamo, era divenuto un passaggio obbligatorio dopo che, dallo scorso agosto, con la legge dell’ex ministro Bonisoli non era più la Soprintendenza locale assieme alla Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale (CoRePaCu) a dare il proprio parere bensì il Mibact. Con la riforma Franceschini di gennaio però è stata istituita nuovamente la Corepacu, con sede presso il Segretariato regionale e a questo istituto spetta ora di nuovo l’ultimo parere su dichiarazioni e verifiche d’interesse culturale. Pare non però non ci sia speranza affinché la pratica Tripcovich torni indietro. «Visti i due dinieghi – spiega il soprintendente Simonetta Bonomi – mi pare difficile che la Corepacu possa andare contro il parere del Mibact. Non c’è motivo dunque, per me, di fare una nuova richiesta».
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