«Il mercato del lavoro torna ai livelli pre-crisi»
Grazie a un insieme di fattori peculiare, il mercato del lavoro a Trieste ha raggiunto nuovamente i livelli antecedenti alla crisi. Nel 2017 il territorio provinciale contava 97 mila occupati, tanti quanti dieci anni prima: un bel salto rispetto ai 90 mila del biennio 2010-2011. È l’esito dello studio condotto da Alessandro Russo, ricercatore e consigliere di amministrazione dell’Istituto di ricerche economiche e sociali (Ires) del Fvg. L’analisi verrà presentata oggi alle 18 nella sala Cral della Stazione Marittima dall’associazione Luoghi Comuni dell’ex sindaco Roberto Cosolini.
Secondo le ricerche di Russo, Trieste svetta rispetto al resto della regione: in Fvg il numero di occupati è ancora molto inferiore rispetto al periodo 2007-2008. Spiega Russo: «Udine e Pordenone sono aree in cui il manifatturiero e l’edilizia hanno una diversa consistenza rispetto alla Venezia Giulia. Sono i settori che hanno più sofferto la crisi, la differenza deriva in prima battuta da questo».
Anche il dato del tasso di occupazione (ovvero il numero di occupati come percentuale della popolazione 15-64 anni) disegna a Trieste una traiettoria ascendente rispetto a quella della media nazionale. L’anno passato ha raggiunto il 67%, superando il 65,8% del 2007. In Italia è attualmente al 58%.
La performance triestina, prosegue il ricercatore, è il frutto di un cocktail di elementi: «Sicuramente ha influito il rilancio del turismo - spiega Russo -. Alcuni settori, in particolare la ristorazione e il commercio, danno segnali di vitalità. La dinamica influisce positivamente anche in altre parti della regione, ma qui ha un’incidenza maggiore».
L’elaborazione dell’Ires sui dati Inps prende in considerazione la variazione fra 2014 e 2016, analizzando la crescita degli occupati dipendenti nel settore privato in provincia di Trieste, settore per settore. La crescita maggiore la registrano i servizi di ristorazione (647 occupati in più, pari al 19,4%). Seguono la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (512 occupati in più, pari al 36,9%) e l’assistenza sociale non residenziale (378 occupati in più, 25,4%) e il commercio al dettaglio (311 occupati, 6,7%).
Per quanto riguarda le imprese, il numero complessivo è diminuito di oltre 900 unità tra 2009 e 2017, passando da 14 mila 845 a 13 mila 934 8-6,1%). Tra i pochi settori in controtendenza ci sono la ristorazione, i servizi alla persona (istituti di bellezza, attività di tatuaggio e piercing, eccetera), i servizi di pulizia.
Nel decennio 2008-2016 è cresciuto anche il lavoro a tempo indeterminato, che ha subito un aumento del 6,2%, mentre nello stesso lasso di tempo i contratti a scadenza sono calati dell’8,7% e quelli di apprendistato del 29,4%.
Scende naturalmente il tasso di disoccupazione, che negli ultimi anni aveva raggiunto quota 8,1% mentre ora si attesta al 6%, pari a circa 6 mila disoccupati.
Aggiunge ancora Russo: «Ha pesato anche l’economia del mare, che attraversa una fase positiva dai cantieri alla logistica. Il potenziale di crescita in questo settore è ancora più ampio, se si considerano le potenzialità di sviluppo del porto».
Ciononostante non mancano i fattori negativi. La forza lavoro triestina è infatti sempre più vecchia: il grafico delle classi di età vede un chiaro spostamento in avanti della parabola nel passaggio dal 2008 al 2016. I numeri assoluti parlano da soli: i lavoratori con meno di 30 anni diminuiscono del 18,5% (da 8 mila 929 a 7 mila 273) mentre quelli di età superiore ai 50 anni crescono del 57,9% (da 10 mila 809 a 17 mila circa).
Commenta Russo: «I giovani spesso studiano qui e poi lasciano il territorio, a volte non tornano. Un tempo l’immigrazione contribuiva a rallentare il processo, mentre ora sembra non tamponare più».
Sintetizza infine il ricercatore: «Durante la crisi sono state penalizzate soprattutto la componente maschile e quella indipendente. C’è stata una notevole espansione del part time, anche tra gli uomini, che ha portato a una diminuzione delle ore lavorate con un impatto sui redditi». Queste le ombre sul futuro: «L’invecchiamento della popolazione e degli occupati, frutto della legge Fornero e dei cambiamenti demografici, potrebbe avere delle conseguenze sul rinnovamento del tessuto produttivo. Lo sviluppo 4.0 richiede, non solo in ambito industriale, una capacità di rinnovamento che rischiamo di non avere a sufficienza».
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