Il medico pusher incastrato dalle telefonate
Nei dialoghi intercettati dagli inquirenti il dottore accusato di spaccio di ossicodone ammette di avere paura di essere scoperto
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale
Il medico accusato di rifornire di droga i tossicodipendenti, prescrivendo decine e decine di ricette a base di ossicodone, era consapevole di agire nell’assoluta illegalità.
Giorgio Bercic, il professionista indagato per spaccio e truffa, che ora si trova agli arresti domiciliari, lo ammette chiaramente nelle conversazioni intercettate dalla Squadra mobile durante le indagini. In una telefonata, in particolare, emerge in modo chiaro il timore del dottore di essere «scoperto». Bercic è nel suo ambulatorio di via Cicerone: uno degli spacciatori, il trentaduenne di origini serbe Dalibor Milosevic (pure lui ai domiciliari), chiama preoccupato il medico per informarlo che la polizia aveva fatto dei controlli sulle prescrizioni. Non solo. Il 26 giugno, in un dialogo avvenuto tra Milosevic e il dottore all’interno dello studio, Bercic parla apertamente dei rischi in cui lui stesso sarebbe incappato sfornando prescrizioni per l’ossicodone. Il medicinale è un potente oppiaceo analgesico narcotico, simile alla morfina, usato in genere per i dolori di natura oncologica e neuropatica. Ma le persone con problemi di abuso di sostanze talvolta lo assumono come sostitutivo dell’eroina o come droga a sé. È il motivo per cui i tossicodipendenti in cura da Bercic bussano di continuo alla porta dell’ambulatorio di via Cicerone.
Ma Milosevic, quando è davanti al medico, in quel momento è in preda ai tremori tipici di una crisi di astinenza. Supplica lo stesso la ricetta, pretendendo una dose elevata. Chiede ben due confezioni da 80 mg, indicando la farmacia in cui si sarebbe rifornito senza problemi. Ma, come scoprirà la polizia, le pastiglie non erano destinate soltanto all’uso personale, bensì pure allo spaccio.
L’elenco delle ricette contestate al professionista è lungo. Le indagini hanno portato a galla che il medico le compilava usando anche il timbro dei colleghi. Non rubato, ma fatto fare appositamente. In numerose occasioni, inoltre, i foglietti venivano intestati ad altri pazienti, ignari di finire con nome e cognome nel giro dello spaccio di via Cicerone. Altri nomi, ancora, forse erano addirittura inventati. Altri appartenevano a persone già morte. A un certo punto pure i farmacisti si insospettiscono, dubitando dell’autenticità di quanto rilasciato dal dottore, spesso quotidianamente: la fila di drogati che si presentano al banco per prendere confezioni su confezioni di Oxycontin da 87,04 o da 48,75 euro l’una, non può passare inosservata. E così qualcuno inizia a telefonare al medico domandando spiegazioni. Ma lui rassicura sempre. Anche se dietro quelle prescrizioni non esiste alcun piano terapeutico: il dottore, nel suo ambulatorio, non ha malati oncologici e con problemi neuropatici alla ricerca di una medicina capace di alleviare i dolori della patologia, bensì degli eroinomani che assumono l’ossicodonone perché facilmente reperibile sul mercato legale. E ne diventano dipendenti. Accade così che un tossico agli arresti domiciliari, pur di farsi la dose, evade dalla sua abitazione di Valmaura per recarsi nello studio di Bercic. Lo fa tre volte di seguito. Nel via vai dell’ambulatorio di via Cicerone, capita pure che il dottore venga derubato del suo timbro, che forse qualche drogato usa per le ricette “fai da te”.
Ma l’interrogativo che incombe sull’intera inchiesta, e che inevitabilmente si farà largo pure tra gli stessi spacciatori, è il tornaconto che il medico poteva avere dall’intera operazione. Ci guadagna? E se sì, come? Soldi sotto banco da una ditta farmaceutica? Il dottore intascava parte dei proventi dello spaccio? Ma gli investigatori non hanno trovato nulla di ciò. Resta il mistero. I pazienti con il “vizio” dell’ossicodone, ai quali interessa soltanto ottenere le preziose pastiglie, in altre intercettazioni telefoniche definiscono Bercic un «trapoler».
Un’espressione dialettale che etichetta chi fa affari truffaldini. Il traffico viene scoperchiato dagli agenti della Squadra mobile su segnalazione dell’Azienda sanitaria di Trieste.
L’Asuits si accorge di una sorprendente impennata del consumo del medicinale e di un altrettanto stucchevole aumento dei casi di dipendenza di quella sostanza al Sert. Il farmaco gira pericolosamente pure nelle scuole, tra i compagni di classe. Uno studente del Carucci verrà pizzicato mentre le vendeva. I giovani se le passano a 10 o 20 euro a pastiglia. Alcuni di loro sono già ben che abituati con l’eroina.
Il legale di Bercic, l’avvocato Paolo Codiglia, chiederà il riesame degli indizi di colpevolezza, in modo da annullare la misura cautelare dei domiciliari.
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