Il manifesto Barcolana nel mirino del curatore del padiglione Guatemala della Biennale

Il critico d’arte Daniele Radini Tedeschi:«Per simbologia, grafica, iconografia, la bandiera della Abramovic dovrebbe essere ammainata più che alzata».

TRIESTE «Per simbologia, grafica, iconografia, la bandiera della Abramovic dovrebbe essere ammainata più che alzata». Lo afferma il critico d’arte Daniele Radini Tedeschi, curatore del padiglione Guatemala della Biennale, sul “caso Barcolana” e il manifesto, realizzato dalla celebre artista Marina Abramovic chiamata dalla Società Velica di Barcola e Grignano a rappresentare i cinquant’anni della regata più grande al mondo.

Un manifesto non condiviso dal Comune e in particolare dal vicesindaco leghista Paolo Polidori. «Per quanto riguarda la grafica del manifesto – afferma Radini Tedeschi –, l’uso dei colori conferma l’estetica derivata dal Costruttivismo russo imparentato col Suprematismo e applicata al disegno industriale: il rosso si ricollega al comunismo e alle sue bandiere, non solo legate però alla Russia ma anche all’ex Jugoslavia di Tito, luogo di origine della stessa Marina Abramovic. Proprio questo legame con il socialismo federale del Maresciallo merita di essere approfondito: Marina è figlia di due “eroi” comunisti jugoslavi Danica e Vojin Abramovic, decorati e innalzati proprio da quel Tito che aveva invaso Trieste nel 1944, deportando e trucidando 11.000 italiani, causando quel tragico eccidio di massa conosciuto col nome di Foibe». E conclude: «È assolutamente infelice la congiunzione che vede la storica regata di Trieste, città che più di ogni altra ha subito l’invasione, lo sterminio e il massacro dei nostri italiani ad opera di Tito, essere stata rappresentata da una artista, seppur di fama internazionale, che riconosce al grande dittatore dei meriti e al contempo lancia slogan pacifisti e solidali come “’we’re all in the same boat”». —
 

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