Il legale della famiglia Rotta «Non è un pazzo, è lucido»
TRIESTE. Il ventinovenne dominicano Alejandro Augusto Stephan Meran non accetta le cure farmacologiche in carcere. Lo ha confermato nei giorni scorsi il suo legale, l’avvocato Francesco Zacheo. Un rifiuto che, evidentemente, sta contribuendo non poco alle tensioni che il detenuto sta innescando al Coroneo visto che i medicinali servivano anche a tenerlo calmo.. La speranza del legale è che la madre di Alejandro, che dovrebbe far visita al figlio nei prossimi giorni, lo convinca ad assumere i medicinali prescritti.
«La madre capisce che è anche nell’interesse di suo figlio farsi curare», osserva l’avvocato Zacheo. «La mamma ha chiesto perdono, vive da trent’anni anni in Italia, le ho consigliato anche io di chiedere perdono alla città, alle famiglie, all’Italia intera». «Il problema è che Meran mentalmente è malato – aggiungeva peraltro nei giorni scorsi ancora il legale – non sta bene, non si rende conto a cosa andrà incontro. Alcuni documenti del 2017 attestano la sua schizofrenia cronica».
Sulla vita del killer degli agenti della Polizia di Stato Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, uccisi a colpi di pistola in quel tragico 4 ottobre, rimangono ancora molte ombre sulle quali le indagini dovranno fare luce.
Non è ancora chiaro, ad esempio, come mai Alejandro – descritto dalla mamma e dal fratello come un «malato mentale che parlava con i muri e sentiva le voci» – vivesse da solo. Come si manteneva? «Mi hanno detto che era precario, che lavorava ogni tanto, altro non so», afferma l’avvocato.
«Ho letto delle aggressioni e ho saputo delle minacce di morte agli agenti», commenta invece l’avvocato Cristina Maria Birolla, la legale che tutela la famiglia di una delle vittime, Rotta. «Sono situazioni sconvolgenti che aggiungono dolore a quanto avvenuto», rileva. «E inoltre sembra che il detenuto non abbia rimorso, che non si stia pentendo di quello che ha fatto. Comunque, da quanto si è visto dal video, è evidente che Alejandro Augusto Stephan Meran è una persona che sa come colpire. Uno lucido. Dal video – sottolinea l’avvocato Birolla – si vede bene, ad esempio, come si muove lungo il perimetro dell’atrio della Questura. Lo percorre accanto al muro, come per coprirsi le spalle. Non sembra affatto uno sprovveduto in preda alla follia. E ha agito anche con un’ottima memoria: in effetti, da quanto risulta, è la prima volta che entra in quell’ambiente, eppure mentre fugge riconosce immediatamente l’uscita. E la dimestichezza con le armi è evidente. Io comunque credo che tutto il discorso sulla sua presunta pazzia – continua – sia una linea difensiva. Ma vedremo le perizie psichiatriche. Per quanto ci riguarda noi puntiamo a dimostrare che il ventinovenne dominicano fosse pienamente capace di intendere e di volere. La famiglia chiede solo giustizia».
Nella sua ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa a carico dell’indagato, il gip Massimo Tomassini aveva definito la tragedia in Questura una «mattanza». Così scriveva il magistrato. Una mattanza commessa da un individuo che con molta probabilità sapeva maneggiare bene le armi. Il dominicano era stato ritenuto dal gip, senza alcun dubbio, un individuo «pericoloso», mosso da «aggressività» e da una «spinta criminogena».
Le indagini sul passato del detenuto hanno portato a galla anche un episodio di cui il dominicano si era reso protagonista. Un anno fa, quando il criminale viveva in Germania, si era lanciato a bordo di un’auto contro la barriera di sicurezza dell’aeroporto di Monaco. Quando la Polizia tedesca lo aveva fermato, il dominicano vaneggiava parlando di «Gesù». Lo straniero era stato quindi preso in carico da un centro di salute mentale.
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