Il lager in mostra all’Onu Ira di Zagabria su Belgrado

A New York la rassegna su Jasenovac, il campo di concentramento del regime ustascia. Dura la Croazia: «Dati falsi, i fini sono propagandistici»

BELGRADO. I rapporti tra i due Paesi sono da sempre nervosi e difficili. E può bastare anche una mostra - dedicata però a un tema molto delicato e doloroso - per eccitare gli animi.

È quanto sta accadendo tra Belgrado e Zagabria per una rassegna sul campo di concentramento di Jasenovac, all’interno del quale durante il regime ustascia furono uccise in maniera brutale decine di migliaia di persone, in particolare serbi, rom ed ebrei, ma anche antifascisti, croati compresi. Proprio il campo è il tema di “Jasenovac – Il diritto a non dimenticare”, esposizione sponsorizzata dalla Serbia nell’ambito della Giornata della Memoria, aperta l’altra sera nel quartier generale delle Nazioni Unite a New York. La mostra, si legge in una nota del ministero degli Esteri serbo in cui vengono riportate le parole del suo titolare, Ivica Dačić, è pensata per portare «per la prima volta» all’Onu la storia di un genocidio di cui si rese colpevole lo Stato-fantoccio filonazista retto da Ante Pavelić. Ed è una mostra che racconta un capitolo terribile della Seconda guerra mondiale.

Ma l’idea ha trovato «una resistenza molto forte, in particolare da parte di uno Stato», ha disapprovato la nota. Stato che risponde al nome di Croazia. Lo ha confermato lo stesso ministero degli Esteri di Zagabria, con un comunicato diffuso attraverso l’agenzia Hina in cui si accusa la Serbia di «manipolazioni» e di avere diffuso «dati falsi» attraverso un’iniziativa che perseguirebbe nient’altro che «fini propagandistici». La mostra, ha continuato Zagabria - sottolineando anche il suo «profondo rispetto per tutte le vittime» del regime ustascia, in particolare quelle di Jasenovac - «non contribuisce alla riconciliazione, alla costruzione di rapporti di fiducia».

Ma cosa ha fatto indispettire la Croazia, negli anni passati al centro di polemiche, anche interne, per la presunta inazione delle autorità verso derive revisionistiche nel Paese? La nota non lo specifica nel dettaglio, lasciando spazio alle speculazioni più diverse. I media serbi hanno così suggerito che la Croazia potrebbe essersi risentita per non essere stata coinvolta nell’organizzazione dell’evento. Oppure per l’esposizione di una foto del controverso cardinale Stepinac; o per possibili esagerazioni sul numero delle vittime, contenute in vecchi film che sarebbero stati proiettati a New York.

A inasprire le polemiche è stato anche un passo del discorso tenuto da Dačić all'Onu. Il ministro ha infatti invitato il premier croato, Andrej Plenković, ad andare personalmente «a Jasenovac». E a «inchinarsi» lì, in memoria delle vittime. E lo stesso Plenković dovrebbe anche «chiaramente definire», ha rincarato Dačić, «chi sono le vittime e la loro entità, se sono 50mila, 100mila o 700mila».

Secondo quanto informa lo United States Holocaust Memorial Museum, le «stime attuali» dicono che a Jasenovac sono morti tra «i 77mila e i 99mila» prigionieri. Dati del memoriale di Jasenovac indicano invece la cifra di 83.145 vittime al momento identificate, tra cui 20mila bambini e minori; 47.600 furono i serbi, 16.200 i rom, 13.100 gli ebrei, 4.200 i croati. Ma in passato sono circolate, in Croazia e in Serbia, anche cifre di molto inferiori e superiori, a seconda degli schieramenti. Sorpreso dalle polemiche è il professor Gideon Greif, direttore della mostra, frutto del lavoro di esperti di sette Paesi. E apprezzato studioso dell’Olocausto. Greif al Piccolo assicura che nell’esposizione all’Onu «non siamo entrati sul punto controverso e così delicato» del numero delle vittime, né sul caso Stepinac. «Abbiamo cercato di evitare ogni discussione, di essere moderati», spiega, anticipando che la mostra, in una versione ampliata, farà presto tappa in Israele. E lì le cifre ci saranno, quelle che «pensiamo siano giuste».

«Intendo sottolineare – aggiunge lo studioso – che non vogliamo inventare o distorcere nulla. E non abbiamo niente contro la Croazia, i croati o il governo croato: questa è storia, non politica». E «riguardo al numero delle vittime, a Stepinac, non abbiamo cattive intenzioni, non vogliamo dare la colpa a nessuno, solo raccontare cosa è successo, la storia è la storia». E la mostra, chiosa, è stata organizzata solo «in memoria degli innocenti torturati, umiliati, uccisi. Non per il governo serbo o per quello croato».

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