Il Governo che assomiglia al Paese
Non è il Governo dei migliori e neppure una deludente mescola di tecnici e politici, come pure si è letto. Questo Esecutivo assomiglia troppo al Paese per consentirci di essere così sprezzanti nel giudizio. Vi sono rappresentate tutte le pulsioni che lo attraversano, comprese quelle più estreme, dalle improbabili uscite dall’euro, alle oniriche aspirazioni all’uno vale uno, fino alla solita stucchevole furbizia italica.
Non dovrebbe sorprenderci che gli uomini di Salvini siedano accanto a quelli di Grillo o che i ministri di Berlusconi si accompagnino a quelli indicati da Zingaretti. Il Paese non è in grado d’esprimere una maggioranza politica coerente, né pare opportuno, di nuovo, tentare la via delle urne. Può spiacere a dei sinceri sostenitori della Democrazia quali siamo.
Tuttavia, il contesto di fragilità economica e la necessità di accedere presto ai fondi europei suggerisce di rinviare la resa dei conti in Parlamento a fra qualche tempo, magari corroborati da una legge elettorale che non abbia paura di consegnare anche all’Italia la possibilità di comporre maggioranze coese e durature. L’ossessione dell’uomo solo al comando dovrebbe essere avviata al tramonto. La tenuta democratica credo si possa definire acquisita anche in caso di vittoria netta di uno schieramento.
Nel coacervo eterogeneo che ha giurato ieri si possono leggere i molti patimenti in corso: la scaltrezza esanime di Forza Italia, il tentativo di trasformazione della Lega, l’evoluzione dei 5S (spiace per Patuanelli che perde lo Sviluppo economico, ma è comunque dentro una compagine che farà la storia) e le convulsioni del Pd. Su quest’ultimo lo sconcerto è forte. La pattuglia fornita a Draghi è tutta al maschile. Ha, forse, il Pd lasciato a Berlusconi il tema della rappresentanza di genere? Come si può essere progressisti proponendosi con un simile drappello? Il Governo è ripartito, il Pd è rimasto una casella indietro. —
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