Il giorno triestino di Paolo Rossi: l’omaggio a Rocco, una cena di ricordi e un pallone firmato

"Pablito" era stato l’ospite d’onore di un incontro nel luglio di otto anni fa nell’ambito della mostra dedicata al Paron al Magazzino 26 
Nella foto grande di Francesco Bruni il commovente saluto alla vedova di Enzo Bearzot, il commissario tecnico dell’Italia mondiale nel 1982 che credette in Pablito.
Nella foto grande di Francesco Bruni il commovente saluto alla vedova di Enzo Bearzot, il commissario tecnico dell’Italia mondiale nel 1982 che credette in Pablito.

TRIESTE Luglio 2012, una calda giornata d’inizio estate, esterno notte sulla balconata del Magazzino 26 al Portovecchio, dove l’amico Bruno Vesnaver ha allestito un’originale Osteria del Paròn dedicata a Rocco. Perché a cent’anni dalla nascita di mister Nereo, Trieste gli ha voluto dedicare in quella location una suggestiva mostra che ripercorre la sua carriera. Arrivano da tutta Italia per visitarla: allenatori, ex calciatori, giornalisti, scrittori. Da Fabio Capello a Ottavio Bianchi, da Gianni Mura a Franco Baresi, da Gianni Minà a Ferruccio De Bortoli.

Ma quella sera di luglio l’ospite d’onore non può che essere lui: e me lo trovo seduto dinanzi, tra una ventina di commensali illustri. Sono un privilegiato che sfrutta il ruolo di marito di chi quella mostra ha fortemente voluto ed organizzato: mia moglie Francesca affiancata da un curatore d’eccezione, l’amico e collega Gigi Garanzini che il Paròn conosceva non meno dei figli Bruno e Tito ed al quale aveva già dedicato un paio di libri.



Anche quella sera si parla di Rocco, ma soprattutto del Mundial spagnolo perché chi siede di fronte a me si chiama Paolo Rossi, il nostro “Pablito”, invitato a Trieste esattamente trent’anni dopo le magiche notti spagnole del mondiale più bello di sempre.



Incalzato da Alberto Cerruti, prima firma della Gazzetta dello Sport e dallo stesso Garanzini, Rossi ha appena finito di deliziare un’attenta platea su quell’indimenticabile pagina di storia calcistica che fu il campionato del mondo di Spagna’82. Ed ha visitato con attenzione la mostra, con gli occhi lucidi davanti alla bacheca che custodisce la giacca a righine bianche e azzurre indossata da Enzo Bearzot in quelle sfide. E parte da lì la carrellata dei ricordi di Pablito. Da quella scommessa del vecio di Ajello, che lo preferì al goleador del campionato di serie A come prima punta della sua Nazionale; Paolino non tradì, con sei reti nella fase decisiva di quel Mondiale. Tre gol al Brasile, due alla Polonia in semifinale, il primo alla Germania nella finalissima, prima dell’urlo di Tardelli e della pennellata di Spillo Altobelli. Sei gol che gli valsero il titolo di MVP del torneo, prima di collocarlo poi sul tetto del mondo con la conquista del Pallone d’Oro.

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Non smette di sorridere nel raccontarci gli aneddoti e il non detto di quel Mondiale: sono ormai storia la guerra con i giornalisti, il silenzio stampa, il patto d’acciaio dello spogliatoio, le sfide capolavoro con Argentina e Brasile, fino al tappo di champagne che salta al suo primo gol, proprio contro il Brasile. Non è champagne, ma un ottimo bianco delle nostre parti quello che riempie i bicchieri sino a notte fonda ed il sorriso di Rossi si mescola ai ricordi di una serata sempre più magica.

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Tocca però anche a noi tirar fuori qualche aneddoto e quando, dopo il tg della notte che ha condotto, ci raggiunge a tavola l’amico Cristiano Degano, eccoci a raccontare a Paolo Rossi come quel 5 luglio del 1982 fu per entrambi indimenticabile, non solo per i suoi tre gol. Un beffardo destino aveva infatti collocato il matrimonio di Cristiano alla stessa ora della partita, con il sottoscritto nell’insostituibile ruolo di testimone di nozze!

Rossi non trattiene le risate al racconto degli espedienti escogitati da invitati e testimoni per non perdere la partita: primo tempo visto in canonica per gentile concessione del parroco, funzione religiosa (il più breve matrimonio che storia recente ricordi) quasi esaurita nel quarto d’oro tra primo e secondo tempo, gente in chiesa con gli auricolari collegati ai transistor nascosti nelle giacche da cerimonia e nuova fuga verso la tv del parroco a fine messa, giusto in tempo per vedere la parata di Zoff sulla linea di porta a sancire il 3-2 che valeva la semifinale. «Meritate un premio per tanta dedizione» chiosa divertito a fine cena Pablito e quando gli porgo un pallone simile a quello scagliato per tre volte nella porta brasiliana sul prato del Sarria, me lo restituisce con la sua firma autografa. Da quella sera il ricordo griffato Rossi fa bella mostra di sé nella libreria di casa. Oggi l’ho rispolverato e gli occhi lucidi erano i miei. —
 

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