Il giornalista Collini: «Avevo la maschera e comunicavo con gli occhi»

Consigliere comunale di Gorizia, già direttore della sede Rai regionale, racconta i suoi 16 giorni in ospedale ammalato: «Dietro a quelle visiere umanità e anche tanti dialetti» 
Roberto Collini ha sconfitto il Covid-19 (Foto Pierluigi Bumbaca)
Roberto Collini ha sconfitto il Covid-19 (Foto Pierluigi Bumbaca)

GORIZIA Un nemico subdolo e imprevedibile il coronavirus, affrontato in un letto del San Giovanni di Dio. Ma è stata una battaglia vinta. Oggi è a casa, finalmente, ma quei sedici giorni li ricorderà per tutta la vita perché è stata un’esperienza che lascia il segno profondamente, visceralmente. E, oggi, vuole esprimere un grazie rotondo e sincero al personale medico e infermieristico dell’ospedale di Gorizia che lo ha aiutato a sconfiggere il virus e gli ha insegnato a parlare con gli occhi, a capire le emozioni di quelle persone, superprotette contro il Covid-19. Perché, quando sei solo e senti che ti manca l’aria, è fondamentale sapere di essere circondato da persone di grande umanità, oltre che da professionisti veri.

«Nell’attesa di intravvedere uno spiraglio di luce, e quindi immaginare l’uscita dal tunnel, ti affidi ad ogni minimo segnale che ti possa far capire come stanno andando le cose. Quello acustico (di un fastidio unico quando scatta) domina il reparto, alimentato da qualche anomalia rilevata dai sensori dei quattro strumenti che diventano parte di te tutte le ventiquattrore di ogni santo giorno», racconta Collini.

«Poi di tanto (ma proprio tanto) in tanto c’è la voce, con tutti i suoi toni, i timbri, i registri, le cadenze. Che sia del medico, dell’infermiere o dell’infermiera o ancora dell’operatore sanitario – che si rivolgano a un altro paziente o a te – cattura sempre le tue antenne in una condizione di forzata e interminabile solitudine. Anche perché ti metti a ricercare la matrice delle inflessioni dialettali: vai dal carnico, al goriziano; dal veneto al bisiaco, dal sardo al napoletano; dal calabrese al siciliano. Da dietro quelle maschere, protette da ampie visiere, sgorgano sempre parole di incoraggiamento, inviti a farcela, che ti danno il senso di una partecipazione non rituale, ma convinta, alla tua vicenda».

In tutti coloro che hanno lottato in ospedale contro questo virus maledetto, rimarranno per sempre indelebili le immagini della fatica e della stanchezza di tutti gli operatori ospedalieri e non solo, che con grande sacrificio e spirito di servizio non hanno lesinato e non stanno lesinando una parola di conforto e l’assistenza necessaria ai nostri ospiti.

«Un senso - aggiunge Roberto Collini - che cresce a dismisura quando incominci a soffermare il tuo sguardo, sempre al di là della solite visiera e mascherina, sugli occhi di chi ti circonda. Ecco, il linguaggio degli occhi, finora mai decodificato in questo modo. E devo dire che mi ha commosso. Nemmeno una volta, per ovvi motivi, ho visto la faccia intera di chi avessi di fronte. Ma non dimenticherò mai quegli occhi. A me sono sembrati umidi nei momenti difficili e carichi di fiducia, in altri e sono stati una sorta di bussola nel mio “immobile cammino”».

Ci sono state giornate difficili in cui Collini ha pensato anche di non farcela. Ma, alla fine, quelle facce o meglio quegli occhi gli hanno dato una forza interiore incredibile che lo ha portato a sconfiggere il virus. «Credo che tutta questa situazione possa essere rappresentata da tre termini che ho potuto apprezzare nell’ospedale di Gorizia: professionalità, solidarietà e umanità. E il mio grazie non sarà mai sufficiente». —

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