Il giallo di Tito a Buenos Aires operaio sul viadotto “triestino”
BELGRADO Vi lavorarono immigrati da tutto il Paese sudamericano e anche dall’Europa, Jugoslavia inclusa, sudando sotto il sole per assemblare il grande ponte, il “Viaducto de La Polvorilla”. Fra di loro, ci sarebbe stato anche un giovane nato a Kumrovec, arrivato oltreoceano per sfuggire alla giustizia e, forse, per indottrinare gli emigranti jugoslavi al comunismo. Il suo nome, Josip Broz, poi conosciuto come il Maresciallo Tito. È la leggenda che da anni – ma non ci sono prove concrete - circola in Argentina, dove sono in tanti a sostenere che il futuro Tito fuggì dalla Jugoslavia negli Anni Venti, dopo essersi imbarcato a Genova sulla nave “Principessa Maria”.
Sarebbe sbarcato poi «al porto di Buenos Aires» e da lì sarebbe andato a vivere nella città di Berisso. «Correva l’anno 1928», hanno scritto i media locali. Berisso, città in cui Tito avrebbe lavorato in una fabbrica di frigoriferi, dove tutti lo chiamavano «il Russo». «Raccontano che alla fabbrica ci fosse un uomo enigmatico, si faceva chiamare Walter», aveva scritto nel 1999 il periodico “Hoy” di La Plata. «Era il maresciallo Tito, visse lì nascondendosi dagli jugoslavi che lo perseguitavano perché comunista», assicurò al tempo l’articolista. Ma la narrazione argentina su Tito racconta anche del futuro Maresciallo occupato come operaio nella costruzione del grande viadotto, «ne parlano tutti, anche se non ci sono prove», ha segnalato anni fa sulle discussioni di Wikipedia un utente argentino, indicando che le voci furono confermate perfino dalla Revista Latina de Comunicacion Social, nel 2000. Anche il magazine Pagina 12 si è interessata della questione, prendendo contatti con l’ambasciata serba a Buenos Aires. Che ha assicurato che documenti attendibili non ci sono, aggiungendo però che Tito potrebbe essere veramente stato in Argentina come lavorante, «può essere», ha ammesso una feluca, approfondendo il giallo. Giallo che è alimentato dalle tante versioni e dall’alone di mistero che circonda ancora oggi parti della biografia di Tito. Ma pochi dubbi ci sono sulla condanna che Broz ricevette in patria, nel 1928, per «attività comuniste illegali». E per i sei anni passati, fino al 1934, nelle prigioni jugoslave, si legge nel prezioso “Tito e i suoi compagni”, dello storico Pirjevec. Gli stessi anni in cui fu costruita La Polvorilla.—
Riproduzione riservata © Il Piccolo