Il garante diffida Trieste sulle nozze arcobaleno
TRIESTE Il comportamento del Comune di Trieste è «discriminatorio» e «in violazione» della legge. Il garante regionale per i diritti della persona Walter Citti interviene sul caso nazionale dei matrimoni per le unioni civili declassati dall’amministrazione Dipiazza.
Non si può fare, dice in sostanza Citti in un articolato intervento che cita norme e sentenze prima di avanzare in maniera chiara alla giunta la richiesta di cambiare strada. Richiesta inascoltata.
Il garante si rivolge al Comune ma indirizza il suo pensiero per conoscenza anche al prefetto di Trieste Annapaola Porzio e al direttore nazionale Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio dei ministri, Francesco Spano.
Richiamata la legge regionale 9/2014 che istituisce il suo ruolo, e precisato che tra i compiti affidati al garante vi sono tutte le iniziative «utili a prevenire e contrastare atti e comportamenti discriminatori, mediante la diffusione di pareri e raccomandazioni», Citti, sulla base del materiale reso disponibile dai mezzi di comunicazione, entra nel merito del divieto di utilizzo della sala matrimoni, della concessione di una sede di minor pregio e dell’imposizione di un rigido orario d’ufficio, la “gamba tesa” del Comune nei confronti delle nozze arcobaleno.
In particolare, muovendo dalla storia raccontata da Davide Zotti, il docente intenzionato a formalizzare nella sua città un’unione quasi ventennale con il compagno Claudio Bertocchi, il garante evidenzia innanzitutto che il Parlamento, sollecitato da sentenze della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha approvato una disciplina sulle unioni civili con la legge 76 del maggio scorso in cui, pur distinguendo l’istituto dell’unione civile da quello del matrimonio, il legislatore «ha operato una tendenziale equiparazione tra le coppie formate da persone dello stesso sesso unite civilmente e quelle eterosessuali unite in matrimonio, in termini di diritti e doveri delle parti, se si eccettua l’ambito della responsabilità genitoriale».
Citti sottolinea quindi i contenuti del comma 20 della 76, lì dove si precisa che, al fine di tutelare diritti e doveri degli interessati, «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio» presenti in altre leggi e quelle che contengono le parole «coniuge» e «coniugi» si applicano anche «ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
E se pure il regolamento con le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri dell’archivio civile, con conseguente decreto di fine luglio del ministero dell’Interno contenente gli adempimenti degli ufficiali di Stato civile, non hanno espressamente stabilito una particolare solennità all’atto formale, è ancora il comma 20, insiste il garante, a prevedere «l’automatica estensione anche alle parti dell’unione civile di tutte le disposizioni previste che si riferiscono al matrimonio contenute, tra l’altro, in atti amministrativi, comprese le delibere degli enti locali riguardanti modalità, orari, tariffe e gli ambienti nei quali vengono celebrati i matrimoni».
Di conseguenza, riassume Citti, imporre giorni feriali e spazi angusti per le unioni civili si configurerebbe come un «palese trattamento sfavorevole» tale da violare gli obblighi internazionali al rispetto del principio di parità di trattamento e del divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.
Segue un elenco di sentenze della Corte europea e l’ulteriore considerazione che «le persone che si uniscono civilmente si trovano in una situazione del tutto comparabile a quella delle persone che si uniscono in matrimonio» e perciò «non appaiono legittimi e obiettivamente ragionevoli trattamenti deteriori riguardo alle modalità di accesso ai servizi comunali resi disponibili per la costituzione dell’unione civile rispetto a quelli previsti per la celebrazione del matrimonio civile».
Un richiamo deciso ai doveri del Comune cui però, a stretto giro, non corrisponde nemmeno un piccolo accenno a un mutamento di rotta. Nulla cambia con il parere di Citti è il messaggio che arriva dalla giunta Dipiazza, che non ritiene di aggiungere alcunché rispetto a quanto sostenuto giorni fa. Come dire: a Trieste i paletti per Davide, Claudio e le altre coppie gay intenzionate a formalizzare la loro convivenza, rimangono.
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