Il Fvg si arrabbia. Baristi, ristoratori e parrucchieri: «Così ci fate fallire»

TRIESTE «La situazione è gravissima. Se davvero lo stop dovesse continuare, come ha preannunciato il premier, fino al 1° giugno possiamo dire già che almeno il 10 per cento dei barbieri e dei parrucchieri di Trieste non sarebbe più in grado di riaprire, in particolare le piccole attività rionali che già prima sopravvivevano a stento». È uno scenario allarmante quello prefigurato dal direttore di Confartigianato Trieste Enrico Eva per quanto riguarda uno dei settori più penalizzati dal lockdown, tanto che ora si valutano anche iniziative di protesta. Solo nel capoluogo giuliano barbieri e parrucchieri sono 247, i centri estetici 112. Più di 350 attività ferme dal 13 marzo e con la cassa integrazione che durerà ancora non più di due settimane.
«Protrarre la chiusura per tutto il mese di maggio avrebbe effetti devastanti e irreversibili», afferma Eva che ieri pomeriggio ha avuto su questo tema un colloquio telefonico col ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli.
«Gli ho espresso il forte disagio della categoria, facendo presente che consentirci di riaprire dall’11 o almeno dal 18 maggio costituirebbe una boccata d’ossigeno vitale – ha riferito Eva –. Ho inoltre evidenziato che tutti i titolari delle attività sono pronti a rispettare norme di prevenzione e sanificazione rigidissime, a cominciare dall’utilizzo di mascherine, protezioni per gli occhi e camici, oltre ad ingressi solo su appuntamento per evitare attese e affollamenti. Patuanelli ha dimostrato di recepire il problema, ma ha precisato che il governo ha dovuto prendere atto di quanto affermato dal comitato tecnico scientifico, secondo il quale l’attività di parrucchieri e centri estetici è una delle più a rischio per via del contatto fisico che implica».
La categoria, però, non si arrende. Ieri Dario Bruni, presidente di Confartigianato Trieste, ha inviato una lettera al prefetto Valerio Valenti per chiedere al rappresentante del Governo di far arrivare al ministero il grido d’aiuto della categoria, parlando di una situazione di crescente «tensione». «Appare inaccettabile la decisione di rinviare le aperture al 1° giugno – si legge nella missiva –. È pensabile non reagire fortemente dopo mesi di blocco dell’attività con costi che aumentano e ricavi azzerati? Credo di no». La richiesta al prefetto è di «interpretare presso il competente Ministero il fortissimo disagio sociale ed economico che la prospettiva di un altro mese di chiusura crea nelle nostre imprese, disagio che prelude a forme autonome di protesta».
A livello regionale il presidente di Confartigianato Fvg, Graziano Tilatti, ha raccolto «l’estrema preoccupazione delle nostre imprese» sottolineando che si è ancora in attesa dei provvedimenti di sostegno nazionali: liquidità, rimborsi a fondo perduto, agevolazioni sugli affitti, cassa integrazione. Tilatti ha parlato di misure «inconcepibili, anche rispetto a un territorio, quello del Friuli Venezia Giulia, in cui il contagio è sempre rimasto sotto controllo e i numeri della pandemia sono in calo, grazie all’efficiente gestione sanitaria della Regione e al virtuoso comportamento dei cittadini. Un lockdown prolungato mette a definitivo repentaglio il nostro tessuto produttivo, in un contesto in cui una simile prospettiva non si giustifica dal punto di vista sanitario».
Confartigianato Fvg esprime solidarietà anche al comparto del commercio e chiede al governatore Massimiliano Fedriga, «di salvare le imprese, facendo pressing sul Governo».
«Inversione di rotta, subito, o la nave, già a pelo d’acqua, andrà irrimediabilmente a fondo, con tutte le implicazioni economiche, occupazionali e sociali che ne deriverebbero», è il monito di Antonio Paoletti, presidente di Confcommercio Trieste.
Da artigianato e commercio agli esercizi pubblici. Anche qui tira aria di rivolta. «Adesso basta! Abbiamo assistito in silenzio per quasi due mesi alla chiusura forzata dei nostri esercizi – ha tuonato Bruno Vesnaver, presidente Fipe Fvg –, rispettando ogni limite imposto, ma ora è arrivato il momento di alzare la voce e pretendere dalle istituzioni lo stesso rispetto. Il trattamento riservatoci in queste ultime settimane è offensivo. Fissare la riapertura al 1° giugno significa mettere in conto senza scrupoli il fallimento di molte delle nostre aziende. Ad oggi, l’unica soluzione che ci è stata avanzata concretamente è la possibilità di fare dei debiti, tra l’altro ancora non disponibili». «Servono risorse vere, a fondo perduto in linea con la perdita del fatturato – ha aggiunto Vesnaver –. I nostri dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione. Alcune tasse locali sono state posticipate e non cancellate. Per noi non ci sarà alcuna fase 2, perché senza turismo e con le limitazioni che ci verranno imposte non sarà possibile lavorare. Se non volete che un’intera classe imprenditoriale sparisca serve liquidità. Chiediamo condivisione e lo stesso rispetto che state riservando alle grandi industrie che avete già fatto ripartire. Meritiamo meno fiducia di chi gestisce il già riaperto ristorante di Montecitorio?».
La mobilitazione coinvolge anche gli albergatori. Ieri sera uno striscione-lenzuolo con una scritta di protesta è stato esposto sulla facciata dell’hotel Urban, gestito a Trieste da Manuel Costantin.
Infine, sul perdurare delle limitazioni all’accesso a chiese e celebrazioni liturgiche, è intervenuto l’arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi: «Non so se per qualche omissione di istanze doverose o per imponderabili decisioni lesive della libertà di culto, noi cristiani siamo ormai da troppo tempo privati dell’Eucaristia, e anche, in qualche caso, oggetto di sanzioni che sconcertano e preoccupano. A questo stato di cose bisogna porre rimedio in modo veloce e responsabile». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo